Limite di governo
Sin dal suo discorso d’insediamento Enrico Letta ha chiarito di non essere disposto ad «andare avanti ad ogni costo». La domanda allora è: la condanna a quattro anni per frode […]
Sin dal suo discorso d’insediamento Enrico Letta ha chiarito di non essere disposto ad «andare avanti ad ogni costo». La domanda allora è: la condanna a quattro anni per frode […]
Sin dal suo discorso d’insediamento Enrico Letta ha chiarito di non essere disposto ad «andare avanti ad ogni costo». La domanda allora è: la condanna a quattro anni per frode fiscale del leader indiscusso e carismatico del partito che lo sostiene ha fatto superare questo limite?
Per evitare di rispondere a questa che è la semplice ma vera questione da porsi oggi dopo la decisione della cassazione ci si potrebbe trincerare dietro a considerazioni di tipo istituzionale. È evidente, ad esempio, che la divisione dei poteri fa si che le decisioni della magistratura non possano esercitare alcuna influenza diretta sugli equilibri parlamentari, di conseguenza il rispetto della sentenza e l’esecuzione della condanna non comportano di per sé il venir meno della maggioranza che sostiene l’attuale esecutivo. L’affermazione di Epifani che impegna il Pd a far «rispettare, applicare e eseguire» la sentenza è dunque del tutto corretta, ma non concludente. Anzi, la richiesta rivolta alle forze politiche, e al Pdl in particolare, di «non usare forzature istituzionali» mostra una difficoltà a scendere sul vero terreno di scontro per affrontare i reali termini del problema politico che la condanna di Berlusconi pone.
Più incisiva la nota del Quirinale, diffusa dopo pochi minuti dalla lettura della sentenza, la quale non solo richiama al rispetto verso la magistratura, ma chiarisce anche quali sono le condizioni affinché si possa proseguire il cammino comune: ponendo al centro dell’agenda politica i problemi della giustizia. Per uscire dalla crisi – scrive Napolitano – c’è bisogno di ritrovare serenità e coesione sui temi istituzionali (la giustizia in primis) che per troppi anni hanno diviso aspramente il paese.
Ha ragione il Presidente, è questa la questione politica di fondo su cui si giocherà il futuro del Governo. Ma ci si deve anche chiedere che vuol dire in concreto aprire oggi un confronto sulla magistratura. È chiaro il punto di vista del Pdl. Le dichiarazioni e poi il video-messaggio di ieri sera di Berlusconi lo hanno ribadito senza possibilità di equivoci.
Non si può vivere in questo paese prigionieri della magistratura, è necessario riportare sotto controllo quei pubblici funzionari che non essendo «eletti dal popolo ma selezionati attraverso un concorso» non possono porsi come «potere dello Stato». In realtà non può stupire che vi sia uno spirito punitivo nei confronti dell’ordine della magistratura e che l’indipendenza sia il vero oggetto polemico, nonché l’asse di un possibile accordo politico. I toni bassi tenuti alla vigilia della decisione della cassazione, imposti esclusivamente da ragioni di strategia processuale, sono già scomparsi. È evidente che Forza Italia ri-nascerà rivendicando «la più indispensabile di tutte le riforme», per liberare l’Italia da «un esercizio assolutamente arbitrario del più terribile dei poteri: quello di privare un cittadino della sua libertà».
Le altre forze politiche, il Pd in primo luogo, ma anche il Presidente del consiglio, sono disposti a farsi trascinare sul terreno della «vendetta» nei confronti della magistratura? Non ci si illuda ancora una volta, non si potrà evitare lo scontro ed immaginare che si possano pacatamente affrontare le reali e gravi disfunzioni che affliggono il sistema giudiziario. Se è stato impossibile sin qui, ora il clima è peggiorato.
Come uscirne? Con un’azione di chiarezza e verità. La maggioranza delle larghe intese ha sino ad ora combinato poco sul piano economico (i dati statistici sono impietosi e la paralisi politica sulle decisioni di maggior respiro sono palesi) e sta operando in modo confuso e avventato sul piano istituzionale (dalla legge sui rimborsi elettorali alla revisione costituzionale). Se non si vuole «andare avanti ad ogni costo» si deve definire un programma di governo diverso da quello fin qui non realizzato, che magari ponga al centro del proprio operato un’uscita dalla crisi economica socialmente compatibile. Le proposte non mancano. Vero è che esse sono assai diverse tra loro, tagliano trasversalmente le forze politiche e gli stessi gruppi parlamentari tanto di maggioranza quanto di opposizione. Abbiamo assistito, in questo inizio di legislatura alla costituzione di diversi «intergruppi», che si sono formati su proposte concrete e assai avanzate. Si potrebbe pensare a rilanciare l’azione di governo sulla base di programmi innovativi.
Si spaccherebbe il fronte che attualmente sostiene il governo? È possibile, forse probabile, magari auspicabile. Ma almeno si creerebbero le condizioni per un rilancio dell’azione di un Governo che si rivolge al futuro del paese, guardando oltre la sentenza di condanna per reati fiscali.
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