Editoriale

L’invenzione mediatica dell’ultimo pontiere

L’invenzione mediatica dell’ultimo pontiereUn opera di Sergio Lombardo, 1963

Missioni impossibili La rottamazione, ideologia che porta al potere solo perché si ha un corpo giovane, si è avventata in modo catastrofico sulle forme sofferenti della politica

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 17 novembre 2017

Questa sceneggiata dei “pontieri” che provano a stringere attorno a Renzi una alleanza riparatrice, che va da Alfano alla sinistra, è così grottesca che poteva anche essere risparmiata. Contribuisce solo al degrado culturale della politica che declina nella sua autorevolezza non per la grande tattica, ma per le inutili finzioni di un tatticismo sterile di tante anime belle che blandiscono con amorevoli aperture e però nascondono il pugnale per strapazzarti.

Se l’idea di una lista unitaria di sinistra sarà confermata dopo tanti venticelli ostili, dovrebbe compiere una azione di bonifica per sminare il terreno.Sminarlo dagli esplosivi depositati dai media che inventano trattative in extremis, fantasticano su straordinarie aperture programmatiche concesse dal disperato quartier generale del Nazareno, costruiscono un clima d’ansia per denunciare, chiunque non si accodi agli ordini di Renzi, come un folle estremista degli anni Trenta che spalancò la via del potere al nazismo.

Questa invenzione mediatica di padri nobili che da un piedistallo si lanciano in prediche edificanti e divagano in sollecitazioni ecumeniche a ritrovarsi, svela che il re è nudo e che solo con la paura cerca di resistere. Scomodare il pericolo totalitario e annunciare tragedie dietro l’angolo per colpa di un libero voto degli elettori è segno di una irresponsabile visione della politica.

Cosa c’è da temere? Che un governo padronale, con una spudorata provocazione, cancelli l’articolo 18? Un qualche potere terribile potrebbe strapazzare il diritto del lavoro e regalare ai padroni la libertà di licenziare dietro una simbolica remunerazione monetaria? O c’è da tremare dinanzi all’inquietante idea che una maggioranza occasionale approfitti del plusvalore politico dei numeri per manipolare la costituzione?

A creare spavento è l’immagine di un capo pseudo-carismatico che con disciplina militare maltratta la Carta e poi organizza un plebiscito sulla propria leadership personale? O forse il pericolo incombente è che qualche politicante, a pochi mesi dal voto, imponga, con il voto di fiducia richiesto alla camera e al senato, una nuova legge elettorale che regala il governo alla destra? Si potrebbe affacciare lo spettro di un potere demagogico che aggredisce istituti tecnici come la Banca d’Italia esponendo il sistema monetario e finanziario a rischi immensi?

Dinanzi a cose già viste, questo accanimento dei media unificati per costruire un allarme cosmico si rivela pittoresco. Non ci sono catastrofi da scongiurare con unioni sacre giurate al cospetto di un improbabile negoziatore. La sola alternativa che sta dinanzi alla sinistra è di perdere sotto il comando poco amico di Renzi, lasciando così immutato un sistema dei non-partiti ormai incancrenito, o di sfidare l’imperativo del successo immediato per ricostruire una proposta politica combattiva che consenta di ripartire per un nuovo scenario.

La sinistra deve costruire una alternativa di sistema. La folle legge elettorale, che rilancia le coalizioni insincere, è un ostacolo che però non può indurre alla rinuncia di inseguire cose nuove. La dissoluzione del Pd è avvenuta per limiti oggettivi del progetto originario e per una propensione all’oblio imputabile alla leadership renziana. L’ideologia della rottamazione che porta al potere solo perché si ha un corpo giovane si è avventata in modo catastrofico sulle forme della politica già in sofferenza.

Machiavelli non escludeva i “giovanissimi” dal comando politico e militare. «E quando uno giovane è di tanta virtù che si sia fatto in qualche cosa notabile conoscere, sarebbe cosa dannosissima che la città non se ne potessi valere». La moltitudine per questo dovrebbe «eleggere uno giovane», senza attendere che svanisca «quel vigore dell’animo e quella prontezza» che lo caratterizzano. Però questo giovane capo deve essersi prima distinto per «qualche nobilissima azione». Con il suo populismo giovanilista, Renzi ha invece esaltato solo il corpo con la camicia bianca e ha lodato l’inesperienza, l’estraneità, la semplicità, il nulla della comunicazione.

Cucire attorno al suo populismo distruttivo una finta alleanza, solo per apparire più competitivi al voto, non serve a nulla. Il Pd espugnato dal comitato d’affari è un esperimento fallito e nessun soccorso rosso potrebbe rianimarlo. Dal passaggio ineluttabile verso la disgregazione di un velleitario partito personale sprovvisto della proprietà di azienda e media, è possibile trovare risposte costruttive. Senza attendere il tonfo della sconfitta annunciata, dovrebbe subito prendere corpo una soggettività della sinistra capace di riorganizzare il conflitto per immettere nella politica interessi collettivi e sottrarla all’abbraccio mortale con il capitale, la finanza, il malaffare.

Nella odierna postdemocrazia, il denaro occupa le istituzioni, privatizza la legislazione. La politica è tramontata come luogo della decisione autonoma, il personale politico segue oscuri percorsi di carriera e appannati canoni di legittimazione. La sinistra dovrebbe essere una prima risposta al declino in una democrazia minore che abbandona il territorio al nichilismo della antipolitica disperata.

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