L’ultima pagliacciata renziana
E adesso Abbiamo visto un referendum costituzionale trasformarsi in un referendum sociale. Dove ciascuno per un momento si è sentito libero di votare per qualcosa in cui credeva. E seppure ci pesa la cattiva compagnia del No, per una volta abbiamo vinto, e vinto bene. Ora facciamo affidamento sul capo dello stato perché non consenta balletti e scorciatoie, perché affidi il timone a una personalità di rilievo istituzionale, una persona super-partes, in grado di traghettare il paese dal pantano renziano a nuove elezioni
E adesso Abbiamo visto un referendum costituzionale trasformarsi in un referendum sociale. Dove ciascuno per un momento si è sentito libero di votare per qualcosa in cui credeva. E seppure ci pesa la cattiva compagnia del No, per una volta abbiamo vinto, e vinto bene. Ora facciamo affidamento sul capo dello stato perché non consenta balletti e scorciatoie, perché affidi il timone a una personalità di rilievo istituzionale, una persona super-partes, in grado di traghettare il paese dal pantano renziano a nuove elezioni
Sono passate poco più di 48 ore dalla domenica elettorale che nelle peggiori intenzioni avrebbe dovuto cambiare i connotati alla nostra democrazia parlamentare, e provate a raccontare a che punto siamo a una persona sana di mente, a un cittadino italiano che abbia ancora voglia di prendere sul serio la pesante situazione in cui il giovane, brillante Renzi ci ha cacciato.
Penserebbe a una commedia in costume, a un episodio della repubblica delle banane. Penserebbe che evidentemente siamo degli irrimediabili cialtroni che amano passare da Berlusconi a Renzi.
Per aver evitato di affidare il potere nelle mani di un capo, ci ritroviamo con un presidente del consiglio che oggi, al senato, benché dimissionario, chiederà la fiducia sulla legge di bilancio.
Ci ritroviamo con un senato, appena scampato alla ghigliottina, che non potrà liberamente discutere la legge più importante del governo perché il presidente del consiglio, dopo essersi dimesso davanti alle telecamere nella notte della batosta referendaria, sospende le dimissioni per un pomeriggio e chiede di votargli la fiducia.
Salvo poi, appena qualche ora dopo, recarsi al Quirinale e, con la giacca di capo del governo, rassegnare le dimissioni, con quella di segretario del Pd sedersi di fronte a Mattarella per le consultazioni sulla crisi di governo, il suo.
La pagliacciata delle dimissioni televisive, offerte al pubblico di terza serata, hanno imbarazzato e intralciato il lavoro del presidente della Repubblica, l’unico che le avrebbe dovute ricevere in prima battuta, senza lacrimucce e abbracci. E purtroppo non sarà questo l’ultimo strappo che il rottamatore, l’uomo del cambiamento, il novatore della politica italiana, il riformatore della Costituzione, ci lascia come pesante eredità da smaltire.
Molti di quelli che hanno votato Sì, da ultimo Romano Prodi, si sono turati il naso pur giudicando la riforma un vero obbrobrio. Se malauguratamente avessero anche vinto, oltre al loro trascurabile mal di pancia, ci avrebbero regalato molti anni di futurismo renziano.
Ma come hanno fatto quei dirigenti del vecchio Pci, quei democristiani di vecchio e nuovo conio, quei cattolici adulti a sostenere una persona che non si fa scrupolo di niente, che preda di una bulimia di potere, scavalca le prerogative del presidente della Repubblica, trattandolo come fosse un usciere del Nazareno.
Ma come ha potuto Giorgio Napolitano sostenerlo e ispirarlo nella forsennata guerra contro la Costituzione fino al punto di votargli in parlamento una legge elettorale, l’Italicum, sapendo che sarebbe stata valida solo se al Referendum avesse vinto il Sì, cioè solo con l’abolizione del senato.
Siamo finiti in mani inaffidabili e di questo dobbiamo dire grazie anche a quella sinistra del Pd che prima ha ripetutamente votato la riforma costituzionale e poi ha detto No (a parte Cuperlo finito a bagnomaria nel brodo del Sì).
Oggi il bollettino di bordo dice che Renzi chiederà a Mattarella un governo istituzionale con una maggioranza allargata al fronte del No (leggi Berlusconi e Forza Italia). Altrimenti tutti al voto.
Vedremo, intanto quel che sappiamo già è che questo gruppo dirigente del Pd ha messo il paese nel tritacarne referendario e ora lo lascia alle scorrerie del grande capo, ferito e a caccia di riscossa in una prossima campagna elettorale. Di cui non sappiamo né quando ci sarà, né con quale legge elettorale verrà celebrata. Vale a dire se, come la magnifica coppia Renzi-Alfano vorrebbe, le urne si apriranno a primavera come i fiori e con quale razza di governo in carica.
Nel frattempo le politiche economiche e sociali di palazzo Chigi continueranno a macinare voucher, ticket e povertà che sale al 48% per le coppie con figli e al 51% se si tratta di minori.
Per chi legge questi dati offerti dall’Istat non è difficile interpretare certe esagerate percentuali del No, come quell’81% di giovani con un elevato grado di istruzione e disoccupazione, come quel povero Sud ricco di grandi città del No, entrambi determinanti, giovani e Sud, a trasfigurare un referendum costituzionale in un referendum sociale.
[do action=”citazione”]Abbiamo visto un referendum costituzionale trasformarsi in un referendum sociale. Dove ciascuno per un momento si è sentito libero di votare per qualcosa in cui credeva.[/do]
Dove ciascuno per un momento si è sentito libero di votare per qualcosa in cui credeva, come ha fatto quel vasto mondo di movimenti piccoli e grandi, dai centri sociali alla Cgil, all’Anpi, ai comitati del No.
E seppure ci pesa la cattiva compagnia che per affondare Renzi difendeva a denti stretti la democrazia costituzionale di cui gli importava meno di niente, per una volta abbiamo vinto, e vinto bene.
Ora facciamo affidamento sul capo dello stato perché non consenta balletti e scorciatoie, perché affidi il timone a una personalità di rilievo istituzionale, una persona super-partes, in grado di traghettare il paese dal pantano renziano a nuove elezioni.
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