Editoriale

Ma la nuova Raidue di Freccero non è Telekabul

Ho l’impressione che le polemiche sulla nuova Raidue targata Freccero, ricalchino un po’ certe contese culturali dei tempi di Telekabul, seguano cioè la stessa dinamica: Freccero fa la Telekabul del […]

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 29 gennaio 2019

Ho l’impressione che le polemiche sulla nuova Raidue targata Freccero, ricalchino un po’ certe contese culturali dei tempi di Telekabul, seguano cioè la stessa dinamica: Freccero fa la Telekabul del fenomeno pentaleghista mandando in onda lo speciale su Grillo, intitolando programmi “Povera patria”, facendo professione di sovranismo.

Quando alla Rete3 fu affibbiato il famoso soprannome, l’appellativo ebbe un immeritato successo. Immeritato perché si intendeva confinare e ridurre il Tg3 di Sandro Curzi e la Rete di Guglielmi e Santoro al ruolo di un megafono del Pci-Pds-Ds…. Al contrario, quel telegiornale e quella rete rottamavano precorrendo i tempi, aprivano nuove finestre sulla società dove si agitavano inediti fenomeni politico-sociali.

Quella rete e quel tg vedevano avanzare una forza politica perlopiù ignorata dai media che si chiamava Lega Nord, e gli davano spazio, così come su quelle frequenze si sdoganava la destra di Fini. La pancia del paese urlava nelle piazze santoriane contro la classe dirigente e se volevi sentire Bossi, se volevi ascoltare le voci delle battaglie sociali, se volevi sapere di Tangentopoli allora dovevi accendere Telekabul.

Programmare un’alternativa all’approfondimento politico di prima serata secondo Freccero oggi significa bucare il conformismo del linguaggio che si ascolta nei talk-show, dalle seconde serate di Porta a Porta ai programmi di approfondimento politico che arrivano sul piccolo schermo subito dopo la maratona dei telegiornali.

Significa contestare la politica economica basata sull’euro, difendere l’interesse nazionale, scombinare gli schieramenti in politica estera (su Putin come sul Venezuela), appoggiare la manovra economica e la spesa sociale in contrasto con la linea del rigore dei conti pubblici.

Tradotto in palinsesto, si mettono a tema le questioni e si offrono all’attenzione degli abbonati al servizio pubblico.

Questa linea editoriale viene attaccata e in prima fila c’è il Pd che, purtroppo, predica sul pluralismo dell’informazione da un pulpito che è lo stesso dal quale arrivavano le giornaliere richieste di censura verso una Rai ritenuta poco attenta all’assolutismo renziano. Per certi versi è come se a salire sul gommone per portare solidarietà ai migranti sulla Sea-Watch salisse Minniti.

Tra l’altro si critica Freccero anche per il Grillo-show, una serata inserita nel revival dedicato alle pop star del piccolo schermo degli anni ’80 del secolo scorso. Iniziato con lo speciale su Celentano (3 milioni il 14,4%di share: un successo della rete), proseguito con Beppe Grillo protagonista di un blob di filmati dedicati ai grandi successi dei suoi spettacoli, tenendo fuori il Grillo della metamorfosi partitica come fondatore del Movimento 5 Stelle. Seguiranno Benigni, Funari e altri protagonisti di una tv di rottura e di successo. Chiedere la censura contro Grillo o contro i programmi no-euro non è molto intelligente, è l’ennesimo boomerang.

Tuttavia una cosa certamente non sfugge a un direttore di chiara fama come Freccero. Mentre ai tempi di TeleKabul si trattava di una rete di “opposizione” perché veicolava voci e soggetti che non avevano attenzione sulle altre due reti del servizio pubblico, in questo caso si accendono le telecamere per dare rilievo a forze che hanno in mano il governo. Correndo quindi il serio rischio di diventare il megafono del potere. A reti unificate.

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