Ma sulla tortura l’impegno dell’Italia ancora non c’è
Strasburgo/Italia L'ammissione di colpa del governo italiano, davanti alla Corte europea dei diritti umani, con relativo patteggiamento per le sei vittime di Bolzaneto, è un piccolo passo avanti ma non certo la buona notizia che aspettiamo da tanto tempo
Strasburgo/Italia L'ammissione di colpa del governo italiano, davanti alla Corte europea dei diritti umani, con relativo patteggiamento per le sei vittime di Bolzaneto, è un piccolo passo avanti ma non certo la buona notizia che aspettiamo da tanto tempo
Un piccolo passo avanti forse sì, non certo la buona notizia che aspettiamo da tanto tempo. Quella – se mai ci sarà – sarà la notizia che è stato introdotto un reato specifico di tortura (adeguatamente definito e sanzionato) nel nostro codice penale. Fino a quel momento, la situazione resterà sostanzialmente immutata.
La decisione della Corte di Strasburgo di «benedire» il regolamento amichevole tra il Governo italiano e 6 (su 65) vittime di torture nella caserma di Bolzaneto, del resto, non è dovuta principalmente all’offerta di risarcimento. In altre occasioni, infatti (si veda il caso di Cirino e Renne, due detenuti torturati nel carcere di Asti), la proposta di riconoscere una cifra di denaro e nient’altro, in cambio della rinuncia a portare avanti un ricorso per violazione dell’art.3, era stata ritenuta dalla Corte non compatibile con il rispetto della Convenzione. E di conseguenza respinta al mittente.
Questa volta, però, in più, oltre a un’ammissione di colpevolezza, c’è il riconoscimento da parte del nostro governo della «assenza di leggi adeguate», accompagnato da un impegno ulteriore: quello di «adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura».
Un impegno, in sostanza, a introdurre il reato di tortura. Perché è questo il problema italiano. Non tanto quello di alcuni episodi, più o meno gravi, ma per fortuna non frequentissimi, di tortura, ma un problema ulteriore, più generale: un problema di impunità strutturale, di lacune normative che rendono (quasi) impossibile punire, possibilmente in modo serio, chi di tortura si sia reso colpevole. Non c’è un’impossibilità di accertare i fatti, perché in diversi casi i giudici sono arrivati (sia pure dovendo superare non pochi ostacoli) ad accertare episodi di tortura (le stesse sentenze sui «fatti di Genova» sono esemplari in questo senso).
E il problema non è neppure quello di rispettare l’obbligo di risarcire le vittime: perché la giustizia civile, almeno in alcuni casi, ha potuto fare il suo corso.
Il problema è proprio quello di punire, secondo quanto impongono non solo la Convenzione europea (si veda la sentenza Cestaro, relativa ai fatti della scuola Diaz) e, in modo ancora più esplicito, la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite (ratificata – lo ricordo – dall’Italia nel 1989). È sulla punizione adeguata di chi commette atti di tortura del resto che si combatte, da decenni, nel nostro paese una battaglia politica senza esclusione di colpi.
È su questo che si scontrano coloro che ritengono che gli appartenenti alle forze di polizia si debbano proteggere sempre e comunque, anche se autori di violazioni dei diritti umani, e chi ritiene, invece, che questo, in uno stato di diritto, nel quale la polizia sta dalla parte dei cittadini, non sia ammissibile. Nel frattempo, mentre questa battaglia si prolunga all’infinito, i giudici hanno fatto uso di ciò che le leggi in vigore mettono loro a disposizione: reati generici come l’abuso di ufficio o le lesioni, puniti con pene lievi, e che vanno rapidamente in prescrizione. Con i risultati che sappiamo. Impunità per i fatti di Genova, ma impunità anche per le torture di Asti, e – e questo è forse un fatto meno noto – non collaborazione con altri paesi che vorrebbero fare i conti con il proprio passato (come l’Argentina) perché se il reato è prescritto non si può, oltre che punire in Italia, neppure estradare. Il piccolo passo in avanti, dunque, è che il nostro governo ha riconosciuto che le nostre leggi non sono adeguate e ha preso un impegno a introdurre il reato di tortura.
Poiché, però, di promesse l’Italia, davanti agli organi internazionali, ne ha fatte tante … e spesso non le ha mantenute, la vera buona notizia ci sarà soltanto quando entrambi i rami del Parlamento (magari a seguito di un’iniziativa del Governo) avranno approvato una buona legge sulla tortura.
Aggiungo – ma vorrei sbagliare – che le prospettive attuali non ci autorizzano a credere che questa novità sia dietro l’angolo.
* Presidente di Amnesty International-Italia
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