Editoriale

Mancano 500 mila alloggi popolari

Il sistema della comunicazione ha dovuto mostrare a tutto il mondo che in uno dei luoghi simbolici della capitale era stata costruita una grande tendopoli abitata da emigrati, da giovani […]

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 23 ottobre 2013

Il sistema della comunicazione ha dovuto mostrare a tutto il mondo che in uno dei luoghi simbolici della capitale era stata costruita una grande tendopoli abitata da emigrati, da giovani e da famiglie che non possono permettersi di pagare l’affitto di un modesto alloggio. I selvaggi che dovevano devastare il centro di Roma hanno dunque compiuto il capolavoro di svelare l’esistenza di un mondo sempre più numeroso prodotto dalle politiche antipopolari dell’Europa e del mondo della finanza.
E proprio dalla tragica involuzione del mondo finanziario che è utile ripartire. Luigi Luzzatti che scrisse e fece approvare nel 1903 la prima legge istitutiva per le case popolari era infatti un economista e un banchiere: qualche decennio prima aveva fondato la Banca popolare di Milano. Pur essendo esponente della destra storica italiana aveva chiara una verità che sfugge ai ciechi liberisti di oggi: una parte delle classi popolari non ha la ricchezza sufficiente per accedere al libero mercato abitativo ed era dunque dovere dello Stato risolvere il loro problema. Una convinzione maturata all’interno del grande conflitto sociale della fine dell’800 in cui il movimento operaio seppe porsi come protagonista assoluto.
Nel ventennio che ha cancellato d’ufficio il conflitto sono aumentate in modo intollerabile le disuguaglianze sociali.
Il grande corteo di sabato era formato in larga parte di giovani che hanno compreso perfettamente che questa economia li sta facendo scivolare verso condizioni inaccettabili. E mentre un numero sempre più grande di cittadini e di famiglie paga duramente il fallimento del sistema economico di rapina dominante, il circolo ristretto dei cacciatori dei grandi appalti pubblici continua a far festa. Per il Mose di Venezia spenderemo 5, 6 miliardi di euro mentre il gruppo dirigente dell’opera è in galera per malversazioni e – addirittura – per infiltrazioni mafiose. Per la follia del ponte di Messina abbiamo gettato in pasto alle solite principali imprese centinaia di milioni per progetti inutili. Per realizzare il collegamento tra Torino e Lione spenderemo più di dieci miliardi di euro. La lucidità con cui il corteo di sabato ha posto il problema della fine della rapina alle casse dello Stato per le grandi opere inutili e la diversa utilizzazione di quella ricchezza per risolvere i problemi reali dei cittadini è un grande capolavoro politico di cui occorre dare il merito ai dirigenti del movimento: si è infatti delineata in modo radicale la riforma del bilancio dello Stato.
Il secondo grande merito è la richiesta di un reale piano per l’emergenza abitativa nelle grandi città. Lo stesso gruppo dirigente dei costruttori nazionali ha dovuto ammettere che mancano almeno 500 mila alloggi popolari: la fascia del disagio abitativo riguarda dunque 4 o 5 milioni di italiani. Da venti anni la cultura dominante ha imposto che si parlasse di questo dramma sociale soltanto come un problema di ingegneria manageriale: housing sociale, project financing e tante altre fumisterie sono servite per dividersi la torta dei finanziamenti pubblici e far scomparire i bisogni sociali reali. E’ ora di chiudere questa fase.
Terzo grande merito: di fronte ai milioni di cittadini che non hanno casa e all’esercito di giovani che non trova lavoro, la soluzione offerta dall’attuale governo è la vendita del patrimonio pubblico. Il movimento chiede che questo immenso patrimonio, che appartiene alla collettività intera, venga utilizzato per risolvere il problema della casa e, per gli immobili non abitativi si aprano le possibilità di avviare esperienze di imprese giovanili che oggi non possono accedere al mercato immobiliare. Un modo per costruire nuova occupazione.
Tre pilastri di una nuova visione della società hanno finalmente fatto irruzione nell’agenda politica e istituzionale del paese. Non deve sfuggire questa novità e il fatto che l’iniziativa di sabato ha importanti sinergie con il vasto mondo dei movimenti che hanno contrastato le politiche dominanti, elaborando in questi anni i germi di una cultura alternativa. Il sapere che si è costruito sui beni comuni a partire dalla commissione presieduta da Stefano Rodotà. Il pensiero sull’applicazione rigorosa della Costituzione italiana nel campo della tutela del paesaggio sostenuto da Salvatore Settis e Paolo Maddalena. Le elaborazioni sull’uso pubblico della Cassa depositi e prestiti preda oggi delle peggiori attenzioni speculative proposto da Attac. I movimenti per la difesa della dignità del lavoro e l’uguaglianza guidati dai sindacati.
Le tende di Porta Pia possono dunque rappresentare il precipitato per la ricomposizione di idee e mobilitazioni costruite in questi anni di resistenza al pensiero unico. Si tratta di non sprecare questa preziosa occasione.

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