Editoriale

Marino non ha colpa. Ma sui debiti tace

Salva-Roma Il decreto che commissaria la Capitale

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 5 marzo 2014

Sul tema del fallimento di Roma stiamo assistendo ad una sapiente operazione di occultamento delle responsabilità strutturali che hanno prodotto il colossale indebitamento della capitale e all’opinione pubblica vengono forniti bersagli secondari, utilissimi nel nascondere la realtà. Sembra di assistere alla vicenda del salvataggio del sistema bancario europeo da parte della Bce: la potente iniezione di denaro non è stata erogata sulla base di una diagnosi chiara delle disfunzioni del sistema e i risultati sono noti.

Le banche hanno continuato ad alimentare gli investimenti finanziari e speculativi evitando di aprire il credito alle imprese. I soldi di tutti sono dunque serviti per perpetuare i meccanismi che hanno portato al disastro, annullando ogni responsabilità.

A giudicare da molti autorevoli interventi comparsi in questi ultimi giorni sulla stampa nazionale e dalle dichiarazioni del sindaco Marino, sembra che il debito abbia origine dalla mancata considerazione del ruolo di capitale da parte del governo centrale. Roma spende di più degli altri comuni per i maggiori oneri che derivano dalla sua funzione ed è questa la causa del disastro. Colmata questa lacuna, tutto tornerà nella perfezione.

Non spiega questa comoda giustificazione che il debito consolidato era arrivato a circa 22 miliardi e che la relazione del commissario nominato dall’allora ministro Tremonti consegnata poche settimane fa al Parlamento ne ha conteggiati 14. Quattordici miliardi per pagare i vigili urbani per i cortei che percorrono la capitale e per la deviazione delle linee di trasporto pubblico? Una palese giustificazione che può servire a celare le responsabilità storiche dei pasdaràn del liberismo come la vice presidente del senato, Lanzillotta che dimenticando la scandalosa svendita della Centrale del Latte avvenuta quando era assessore della giunta Rutelli, si sta battendo per privatizzare tutto le società pubbliche e tutte le proprietà.

Vediamo le voci reali del fallimento economico della capitale. Sprechi e corruzione sono alla ribalta e vengono denunciati da tutta la stampa: è forse l’occasione storica per riportare la legalità dentro le società capitoline. Anche la seconda voce del debito, quella accumulata nell’erogazione di servizi fondamentali come i trasporti e la nettezza urbana (Atac e Ama) viene fatta risalire a corruzione e malaffare, ma qui si inizia invece a intravvedere il motivo fondamentale del debito. Le due società, infatti devono servire una dimensione urbana gigantesca. Non c’è altra città d’Italia e d’Europa che abbia una superficie urbanizzata per abitante maggiore di Roma ed è questo il motivo, malaffare a parte si intende, del default delle due società.

Così arriviamo alla causa principale del fallimento di Roma, e cioè l’urbanistica scellerata caratterizzata fino agli anni 80 dall’abusivismo (circa 200 nuclei abusivi sparsi dappertutto) e dall’anarchia dell’ultimo ventennio che ha consentito alla proprietà fondiaria di edificare dove voleva. Roma si presenta come un’immensa polverizzazione edificata: fiumi di denaro per realizzare le urbanizzazioni, le scuole e i servizi. Fiumi di euro che servono per alimentare la gestione di quei servizi. Soldi che non bastano più neppure per garantire la sicurezza.

Il decreto legge cosiddetto «salva Roma», che su queste pagine è stato più propriamente ribattezzato «commissaria Roma» è molto preciso nell’indicare l’unica strada che conosce la fallimentare ideologia liberista: quella di privatizzare i servizi pubblici e vendere le proprietà immobiliari. Un vero paradosso, i responsabili del fallimento si travestono da dottori e, a questo riguardo, viene volutamente celato un altro importantissimo pezzo del debito della capitale: quello dei derivati tossici sottoscritti durante gli anni allegri del «modello Roma» di veltroniana memoria e che oggi pesano tra i quattro e i cinque miliardi. Altro che cortei e manifestazioni.

Quello che preoccupa è il singolare silenzio su questi temi del sindaco. Comprendo che tentino di sviare l’attenzione dell’opinione pubblica i responsabili del fallimento della città, ma Marino con questo disastro non c’entra nulla. Dovrebbe allora trovare il coraggio di denunciare che il debito della città deriva dalla scellerata politica urbanistica imposta dalla potentissima lobby dei proprietari delle aree ancora libere e favorita dall’urbanistica contrattata e indichi la sola strada che può salvare la capitale: la moratoria dell’espansione urbana fino a quando non sia stato raggiunto il pareggio di bilancio. Su questo punto troverebbe un autorevole alleato nel prefetto Gabrielli, capo della Protezione civile che ha aderito all’idea dopo aver constatato il disastro provocato dall’alluvione del mese di febbraio.

Il sindaco, poi, se vuole anche rispondere alla gravi esigenze di chi non ha casa, affermi solennemente che non verrà venduta neppure una parte di quel grande patrimonio rappresentato dalle proprietà immobiliari che sono un bene comune. Un patrimonio della collettività romana che non ha responsabilità nel disastro finanziario della città e non vuole continuare a pagare gli errori di un’economia di rapina.

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