Alias Domenica
Mario Levrero, spazi controllati da regole inintellegibili
Scrittori uruguaiani In un linguaggio intensamente visivo, Mario Levrero disegna «La Città» come figura illeggibile e ostile, simile a uno specchio mutevole e sinistro: opera di esordio, ora da La nuova Frontiera
Alvaro Zinno da «Dove dormono le cose», 2013
Scrittori uruguaiani In un linguaggio intensamente visivo, Mario Levrero disegna «La Città» come figura illeggibile e ostile, simile a uno specchio mutevole e sinistro: opera di esordio, ora da La nuova Frontiera
Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 28 febbraio 2021
In una delle conversazioni registrate nel corso degli anni e poi pubblicate dall’amico Elvio Gandolfo, Mario Levrero assegna una data precisa al suo esordio di scrittore: il primo luglio del 1966, giorno in cui terminò La ciudad, il primo testo che avrebbe deciso di non cestinare. Quando lo aveva cominciato era talmente immerso nella lettura di Kafka da non poterne prescindere: «Ho cercato di imitarlo, volevo essere Kafka (…). Ci ho provato, e non ho neppure cercato di nasconderlo. In seguito questa influenza si è molto attenuata, non ho mai più tentato di scrivere come un altro o di essere...