Editoriale

Mario Mauro il piazzista

Mario Mauro il piazzistaIl ministro Mario Mauro

F35 La notizia ha dell’inverosimile. Il ministro della Difesa Mario Mauro partecipa a uno spot della Lockheed per propagandare l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Nello spot compare la foto del ministro e […]

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 1 novembre 2013

La notizia ha dell’inverosimile. Il ministro della Difesa Mario Mauro partecipa a uno spot della Lockheed per propagandare l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Nello spot compare la foto del ministro e la didascalia di una sua tragicomica frase che dice: «To love peace you must arm peace. F35 does that». Cioè: «Per amare la pace, devi armare la pace. L’F35 lo fa». Uno slogan ridicolo già utilizzato dal ministro durante la discussione, lo scorso giugno, delle mozioni contro gli F35. Uno slogan che demagogicamente vuole avvalorare una scelta, quella del governo italiano, di spendere 14 miliardi di euro per un aereo capace di trasportare ordigni nucleari e di essere impegnato nei teatri di guerra. Il ministro non è nuovo a queste uscite, anche più folcloristiche e coreografiche, come quando (in una imitazione di Tom Cruise in Mission Impossible) si è fatto calare da un elicottero su una nave della marina con un verricello.

Che l’Italia si possa permettere di spendere 14 miliardi nei prossimi anni per un sistema d’arma offensivo, mentre non riesce a trovare nemmeno il 10% di quelle risorse per creare nuovi posti di lavoro è assolutamente paradossale. E non è finita: con la legge di stabilità 2014-2016 vengono stanziati più di 2 miliardi per le navi da guerra Freem, mentre con la legge delega di riordino dello strumento militare tutti i soldi «risparmiati» dalla riduzione del personale (o ricavati dalla vendita di caserme e poligoni) verranno investiti nei sistemi d’arma. Mentre per la difesa e le armi si spenderanno nel 2014 ben 23,6 miliardi di euro, nella stessa legge di stabilità viene tagliato un miliardo e 150 milioni alla sanità, bloccato il contratto ai dipendenti pubblici e tagliate le pensioni.
Che un ministro, il quale dovrebbe salvaguardare l’interesse generale si metta a fare il piazzista del business di una multinazionale della guerra è inaccettabile. Si tratta della Lockheed, la stessa multinazionale che distribuì tangenti a partiti e a ministri (che si dimisero) negli anni Settanta. Un po’ di prudenza non guasterebbe. Un ministro non può fare uno spot a favore di una multinazionale con cui il governo ha in ballo un controverso rapporto contrattuale e per il quale il parlamento ha chiesto una sospensione della sua esecuzione. Si presenta in questo contesto una sorta di «conflitto di interessi» che andrebbe sempre evitato.

È una ferita al decoro istituzionale, alla funzione pubblica che quel ministro esercita, al parlamento italiano che solo tre mesi fa aveva votato una mozione (pure modesta e ambigua) che sospendeva l’acquisto di nuovi F35, prima di un nuovo pronunciamento delle camere.

Eppure, nonostante quella mozione votata da Camera e Senato, il ministro Mario Mauro ha proceduto il 27 settembre scorso all’acquisto di 3 nuovi cacciabombardieri F35 e ha motivato alla Camera questa decisione con un obbligo contrattuale inesistente. In sostanza il ministro ha avvalorato una falsità rifacendosi a quanto in modo fantomatico previsto da un contratto che il Parlamento non ha mai potuto visionare. Eppure, non da Mauro, ma proprio dal Dipartimento della Difesa americano sappiamo che questo obbligo contrattuale non c’è. Infatti, in base a un complesso protocollo con il Dipartimento della Difesa americano, l’Italia può decidere al terzo anno della entrata in vigore dall’avvio di ciascun lotto contrattuale se confermare, rinunciare o rinviare l’acquisto. Il ministro Mauro – pur non essendo obbligato e oltretutto cosciente della richiesta di sospensione del Parlamento – al terzo anno di quell’accordo ha proceduto comunque all’acquisto di 3 nuovi F35.

Prima una bugia sul contenuto e sui dettagli del contratto degli F35, poi il mancato rispetto di una mozione parlamentare che ne sospendeva l’acquisto e infine una comparsata in uno spot pubblicitario della multinazionale che li produce. Ce n’è abbastanza per chiedere al ministro di rassegnare le dimissioni.

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