Editoriale

Marlane, tutti sapevano tranne il Tribunale di Paola

Marlane, tutti sapevano tranne il Tribunale di PaolaLa fabbrica Marlane di Praia a Mare

Fabbriche killer Praia a Mare, decine e decine di morti senza giustizia. E un disastro ecologico mai sanato. Perché sembra che i reati ambientali non siano previsti dal nostro ordinamento giuridico, soprattutto quelli commessi in Calabria

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 24 dicembre 2014

La verità sulla fabbrica dei veleni di Praia a Mare è conosciuta da tutti. La Marlane, fabbrica tessile di proprietà dei Marzotto e prima dell’Eni/Lanerossi S.p.a., ha provocato decine e decine di morti e tante malattie e sofferenze tra gli operai e non solo.

In circa trent’anni di attività la fabbrica dei veleni, così come la chiama lo storico attivista dei movimenti sociali e a difesa del territorio della Calabria, Francesco Cirillo, ha inquinato e continua ad inquinare il territorio circostante, l’aria e il mare.

Un vero e proprio “disastro ambientale” quello provocato dallo “sversamento continuo e costante di sostanza classificata tossica…..presente in grandi quantità nelle zone sottoposte a verifica e circostanti l’azienda Marlane”, come si afferma nella perizia disposta dal Tribunale. Eppure, come in altre vicende giudiziarie che riguardano reati ambientali, i giudici del Tribunale di Paola hanno assolto i dirigenti e i vertici dell’ex stabilimento tessile perché “il fatto non sussiste”, sotto il profilo dell’insufficienza di prove.

Tutti, dunque, sappiamo che quella fabbrica ha inquinato ed ucciso, tutti, compreso Marzotto, che circa un anno addietro ha liquidato, a titolo di risarcimento, i danni subìti da circa cento famiglie di operai deceduti. Tutti, tranne il Tribunale di Paola.

Strane e tortuose le vie della giustizia italiana. Sembra proprio che i reati ambientali non siano previsti dal nostro ordinamento giuridico, e nel caso di specie non parliamo dei termini di prescrizione, ma di valutazioni di merito. Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza ed in quale conto sia stata tenuta la perizia dei tecnici nominati dallo stesso Tribunale di Paola, tutt’altro che favorevole agli imputati.

Quello che da tanti anni i movimenti e i comitati calabresi si chiedono è come sia possibile che a distanza di molti anni, al di là delle responsabilità giuridiche, non si sia proceduto a bonificare, dopo la chiusura, la Marlane o, ad esempio, la Pertusola Sud di proprietà dell’Eni e la ex Montedison di Crotone, o tanti altri siti inquinati in Calabria.

Perché in Italia, e in particolare in Calabria, chi inquina non paga mai e le fabbriche che hanno inquinato e inquinano, anche dopo esser state chiuse, non sono mai state bonificate?
Inutile domandarlo alla stragrande maggioranza delle istituzioni locali, dei partiti politici e delle forze sindacali. Certo ci chiediamo dov’erano nei decenni passati.

Perché allora il governo centrale non impone almeno alle sue controllate, come l’Eni, di bonificare i territori che ha sfruttato e inquinato?

Inutile domandarlo al governo Renzi o ai governi precedenti. La scelta è di tutelare i più forti e i più ricchi. E dei “cafoni” chi se ne occupa? Non certo chi va di fretta.

Non tutto è nero però in Calabria, il 31 dicembre, il “Comitato per le Bonifiche dei terreni, fiumi e mari della Calabria” ricorderà tutti gli operai e le operaie decedute e chiederà, ancora una volta e con più forza, la bonifica di tutto il terreno della fabbrica tessile Marlane che, anche dopo chiusa, continua ad inquinare, distruggere il territorio e, dopo questa sentenza, a minare la residua credibilità delle istituzioni democratiche.

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