Mega flop negli Usa per l’indecente film spot della Fifa
Passions United L'inqualificabile e cinica agiografia della Fifa esce negli Stati uniti. E alla luce dell'inchiesta dell'Fbi alcune delle battute del "film" suscitano un'ilarità ai limiti dell'immorale
Passions United L'inqualificabile e cinica agiografia della Fifa esce negli Stati uniti. E alla luce dell'inchiesta dell'Fbi alcune delle battute del "film" suscitano un'ilarità ai limiti dell'immorale
Mentre le quotidiane rivelazioni dipingono ormai un quadro della FIFA come una multinazionale del peculato da far invidia a Cosa Nostra, esce in America con tempismo davvero singolare Passions United ovvero nientemeno che la glorificazione romanzata della nascita e ascesa della famigerata Fédération.
Non sono chiari i retroscena di questa inqualificabile agiografia evidentemente commissionata (al regista francese Frederic Auburtin) dalla stessa federazione che nei titoli appare come coproduttrice. Sta di fatto che l’oggetto non solo esiste ma nel 2014 ha fatto addirittura parte della selezione ufficiale del festival di Cannes.
Ancora più arduo risulta spiegarsi come attori del calibro di Gerard Depardieu, Tim Roth e Sam Neill abbiano potuto prestarsi ad un’operazione tanto risibilmente celebratoria quanto priva della seppur minima attenuante artistica. Per quanto riguarda la scelta di distribuirlo (in una manciata di sale e via streaming on demand) proprio nel paese da cui è partita l’indagine che rischia di devastare l’oggetto del film, può forse spiegarsi col tentativo di cavalcare l’onda anomala di attuale notorietà – calcolo discutibile a giudicare dal pubblico presente l’altro giorno nell’unica sala che lo ha programmato a Los Angeles, il Laemmle di North Hollywood: due spettatori di cui uno un giornalista.
I due clienti paganti hanno assistito ad un epico spot, non per lo sport più popolare al mondo (il calcio in quanto tale appare solo in una manciata di clip di archivio), ma per i dirigenti della federazione le cui gesta sono glorificate in un affresco cinegiornalistico degno di un comitato nordcoreano per la divulgazione audiovisiva.
I cari leader della FIFA sono ritratti impegnati in una interminabile serie di incontri di lavoro e consigli di amministrazioni che trasmettono tutto l’entusiasmante pathos di un rapporto quadrimestrale sul bilancio. Un esercizio di autocelebrazione corporativa destinato rimanere negli annali della propaganda come certificato di defintiva dissociazione dalla realtà degli stessi diriganti/committenti.
Il film apre su un litorale, forse sudamericano, irrorato di raggi mattutini. Dopo i titoli di testa, il carrello di Auburtin rivela un campo di terra battuta dove una banda di generici scugnizzi improvvisa una partitella. Poveri sì, ma felici e radianti la semplice dignità del gioco più democratico.
Un flashback ci trasporta indietro di un secolo ad un altro campo, un’altra partita. Un uomo, Carl Anton Hirschmann, la osserva e medita: “Questo meraviglioso gioco della palla ha bisogno di un’organizzazione che ne protegga il futuro”. Eccolo dunque a Londra per proporre agli artistocratci inglesi di formare una federazione per tutelare il loro sport preferito.
Niente da fare, dagli altezzosi antieuropeisti col cilindro ottiene solo scherno e britannico disprezzo. Umiliati ma non dissuasi, i benefattori continentali del pallone decidono allora di emanciparsi dalla perfida Albione. Hirschmann e i suoi sodali si riuniscono come carbonari e brindano alla nuova associazione. Ma che nome scegliere? “FIFA” susurra uno fra gli arditi con riverenza solenne. Nel manipolo di visionari il plauso è unanime e l’entusiasmo equivale a quello per la scoperta della penicillina. I violini si alzano trascinanti nel sottofondo: si parte per la grande epopea.
Nel pantheon dei filantropi che hanno segnato la storia della FIFA il prossimo benefattore è Jules Rimet (Depardieu) inventore del mondiale, lampo di genio che si concretizza sul lago di Zurigo dopo un incontro con l’ambasciatore dell’Uruguay. “Lei ha bisogno di soldi, noi vogliamo il mondiale”, sentenzia quest’ultimo. “Mettiamoci d’accordo”.
È solo una delle molte battute che col senno di oggi inducono singhiozzi di ilarità. Invece di ironia non v’è apparente traccia: trovato il business model non resta che svilupparlo come dimostra il primo sorteggio pilotato che porta il mondiale del 1930 a Montevideo.
Rimet, che il film ritrae con adorazione adatta ad Albert Schweizer, è una specie di Mosè che con pietas cristiana guida il popolo del Pallone dal primo mundial a quello del fatale maracanazo del 1950 – sempre in barba agli infidi anglosassoni che dopo il suo trionfo dovranno ingoiare il rospo amaro e associarsi all’odiato rivale d’oltremanica.
La FIFA attraversa il secolo con l’incedere solenne della storia. Dopo Rimet, ecco l’investitura di un altro limpido umanitario al vertice FIFA – João Havelange (Sam Neill). Con lungimirante terzomondismo il brasiliano coalizza i voti africani e nella corsa alla presidenza batte l’ennesimo insidioso lord inglese (quando capiranno la futilità della loro invidia?!).
Altrettanto futili a questo punto sono le domande dello spettatore su come abbia potuto vedere la luce un simile compendio di piaggeria. Ma l’azione non dà tregua: eccoci nuovamente in sala riunioni FIFA – un crocevia di umano travaglio.
Havelange è inquieto, sferza i suoi, urgono fondi. “Trovateli!” sbotta, poi, rivolto al nuovo amministratore, un tale Blatter (Tim Roth), esclama un’altra perla: “Mi dicono che lei sarebbe bravo a trovare i soldi”.
Blatter si rivela lavoratore certosino quanto stratega arguto, inanella accordi con Adidas e Coca Cola e i suoi trionfi hanno tutta la forza catartica di atti notarili. Stacco: Blatter e Havelange celebrano i loro successi da oligarchi nel sobrio superattico da narcotrafficante di quest’ultimo.
Mentre osservano la plebe che si accalca a Copacabana contemplano il fardello che il destino gli ha assegnato. Si protesta il mondiale nell’Argentina dei dittatori carnefici? “Lasciamoli fare” spiega saggio Havelange, “a noi è dato solo di regalare il sorriso fugace di un gol alla povera gente”.
Filantropi dunque. E pure incompresi, dato che i soliti giornalisti si ostinano ad infangare la loro reputazione con accuse infondate. Passions United è tantopiù esasperante perché accenna alle ormai arcinote malefatte ma tratta ogni inciucio di voti, ogni tresca segreta e macchiavellica manovra di potere come gesta di imperterriti condottieri.
Tutto apparentente nel nome delle ore liete degli scugnizzi che ad intervalli regolari vediamo sul campetto polveroso a giocare con innata decenza da poveri la loro nobile partitella.
Infine, essendo in fondo una produzione dell’amministrazione Blatter, il film si addentra nella commedia fantascientifica.
Dopo l’ennesima rielezione grazie a scambio di favori con paesi emergenti, Blatter/Roth annuncia una crociata moralizzatrice. “Saremo esemplari in ogni rispetto” annuncia paterno e severo agli avidi colleghi. “D’ora in poi ogni minima infrazione etica verrà severamente punita”.
Poi, sventata l’ennesima congiura di palazzo, il film si chiude con la trionfale rielezione del “Papa svizzero” ai campionati di Seul. A mò di appendice, sui titoli di coda c’è giusto il tempo di un montage con Blatter/Roth photoshoppato accanto a Nelson Mandela forse per ricordare che il tossico alone di corruzione sparso ovunque dalla più grande federazione sportiva rischia di infangare anche ciò che di più buono e giusto il pianeta abbia saputo esprimere.
Dato che l’inchiesta penale coinvolge ormai i mondiali del 1998, 2006, 2010, 2014, 2018 and 2022 non vediamo l’ora di vedere la sequel.
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