Morte da topi a Messina, come trent’anni fa alla Mecnavi
Omicidi bianchi Stavolta sono quattro al porto di Messina, stavano eseguendo lavori di pulizia quando sono stati colti da malore precipitando nel buio di una cisterna come in un abisso, allora furono […]
Omicidi bianchi Stavolta sono quattro al porto di Messina, stavano eseguendo lavori di pulizia quando sono stati colti da malore precipitando nel buio di una cisterna come in un abisso, allora furono […]
Stavolta sono quattro al porto di Messina, stavano eseguendo lavori di pulizia quando sono stati colti da malore precipitando nel buio di una cisterna come in un abisso, allora furono in tredici a morire in quello di Ravenna, sempre in una nave, c’era pure un egiziano del Cairo, sempre per colpa del gas sprigionato, ancora lavoratori addetti alla manutenzione delle stive. Li separano trent’anni ma continuano ad andarsene ogni giorno come un costo fisso del Capitale, morti anche loro come quei topi di cui parlò l’arcivescovo Tonini – mentre strisciavano nel ventre della nave gasiera Elisabetta Montanari -, che non aveva letto Steinbeck, non conosceva il leggendario romanzo del dolore di chi era classe operaia nell’epoca della Grande depressione. Ma aveva capito come stava cambiando il mondo.
Questi lavoratori invisibili, cancellati dai media, resi sempre più precari dalle leggi del profitto, che adesso si trovavano dentro la Sansovino della Caronte Tourist, ormeggiata al molo Norimberga del porto di Messina, anche loro sono diventati persone solo perché saliti agli onori della cronaca. Sempre lo stesso copione, lo sdegno, la costernazione, nessuno mai che a quei morti dia una spiegazione dei fatti, prima che comincino i processi.
Adesso all’obitorio, come allora, sarà cominciata la via crucis delle madri, delle mogli, dei figli straziati da un dolore invincibile, poi ci saranno i funerali. Anche trent’anni fa, nel marzo del 1987, fu così, nella Romagna comunista, nel cuore del PCI, dove si cominciava a parlare di flessibilità, e dove la sinistra iniziava il suo inesorabile declino, pochi anni dopo la marcia dei 40.000
e dello sciopero dei 35 giorni alla Fiat, due anni prima della caduta del muro di Berlino.
Oggi nessuno griderà «Mai più» come allora nelle strade di Messina, non c’è più un partito dei lavoratori come nella Ravenna massimamente sindacalizzata, i morti sul lavoro sono fisiologia di un capitalismo cannibale che non risparmia più nessuno, né nelle navi gasiere né in quelle turistiche, tantomeno nei porti dove si scaricano le merci, nelle campagne, nei cantieri, in nessun posto, dove un Quinto Stato di lavoratori senza classe e senza partito, precarizzati al massimo, vivono la loro solitudine, quando neanche il sindacato riesce più a difenderli e raggiungerli.
Solo quando muoiono di nuovo come i topi esistono, poi tornano a essere invisibili.
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