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Neanche i morti sono al sicuro a Taranto
Acciaio fuso Non c’è formazione o leader politico che non abbia, non importa con quale buon uso della lingua italiana, recitato il mantra del «Taranto non può vivere senza la Fabbrica»: un mantra nel quale Taranto diventa un luogo neutro e vuoto, una volta cancellato il tributo di sangue e tumori pagato dai tarantini
L'Ilva di Taranto – Ansa
Acciaio fuso Non c’è formazione o leader politico che non abbia, non importa con quale buon uso della lingua italiana, recitato il mantra del «Taranto non può vivere senza la Fabbrica»: un mantra nel quale Taranto diventa un luogo neutro e vuoto, una volta cancellato il tributo di sangue e tumori pagato dai tarantini
Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 7 novembre 2019
Ci sono tre testi che tutti quelli che parlano di Ilva-Mittal dovrebbero conoscere, e per la più parte dicono di averli letti: le inchieste di Antonio Cederna del 1972 e di Walter Tobagi del 1979, e il romanzo La dismissione di Ermanno Rea. Cederna, con due lunghi articoli sul Corriere, evidenziava il nesso fra l’insediamento industriale attuato senza alcun rispetto per gli equilibri ambientali, la devastazione del territorio, e un’urbanistica impazzita: «Una città disastrata, una Manhattan del sottosviluppo e dell’abuso edilizio, tale appare Taranto allo sbalordito visitatore. Stretta nella morsa della speculazione privata e di un processo di industrializzazione che...