Ho letto due volte l’articolo di Alberto Olivetti, ma l’impressione è rimasta la stessa: quella di un esercizio culturale di citazioni alte e di stile arcaico, inutile, anzi controproducente rispetto all’esigenza vitale di iniziare un processo che porti alla pace.
Concludere constatando che “nella realtà dei fatti e delle circostanze pace e guerra coesistono indissolubilmente e in maniera stabile nel doloroso consorzio umano” funziona perfettamente come anestetico generale per il dolore dei popoli che subiscono gli effetti nefasti delle guerre, sul piano dell’integrità fisica e morale, e sul piano delle condizioni materiali di vita e di lavoro.
Noi, ciascuno di noi, non è spettatore esterno e indifferente dei comportamenti tragici del consorzio umano, ma parte in causa e possibile attore protagonista, in grado, se unisce la propria volontà e l’intelligenza di individuare i propri interessi reali con la volontà e l’intelligenza degli altri, di modificare il corso degli eventi.
Il pessimismo individualista e paralizzante di chi dall’alto del proprio sguardo intellettuale osserva e giudica il comportamento recidivo dell’umanità è esattamente il contrario di quel che occorrerebbe: masse popolari che, con il supporto di intellettuali organici (così si definivano una volta), si mobilitano, si organizzano e lottano per i propri interessi e quindi per la pace, mettendo in gioco i propri corpi disarmati, a mani vuote e a viso scoperto.