Editoriale

Normale amministrazione

Ancora una volta la magistratura interviene in supplenza dei pubblici poteri, mostrando il vuoto politico e istituzionale alla base della mancanza di governo delle città. Portare a termine bonifiche di […]

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 12 aprile 2013

Ancora una volta la magistratura interviene in supplenza dei pubblici poteri, mostrando il vuoto politico e istituzionale alla base della mancanza di governo delle città. Portare a termine bonifiche di aree ex industriali o di discariche illegali, e cioè togliere veleni dal territorio, evitare che gli inquinanti arrivino nelle falde acquifere e avvelenino la popolazione, è una funzione ordinaria. Fa parte cioè delle attività normali che le pubbliche amministrazioni devono praticare vigilando sulla salute dei territori, reprimendo gli atti illeciti e allontanando i veleni.

In Europa sono numerosi gli esempi di siti ex industriali risanati , dove al posto delle vecchie fabbriche hanno trovato vita attività di ricerca o di produzione ad alto contenuto tecnologico. A Bagnoli sono passati quasi venti anni dall’inizio della bonifica. Era stato il piano regolatore di Vezio De Lucia, allora assessore della giunta guidata da Antonio Bassolino a destinare quell’area industriale alla riconversione verso il turismo e verso il benessere della popolazione che prima conviveva con i veleni degli altiforni. La straordinaria bellezza del luogo era la migliore carta che Bagnoli poteva giocare per guardare al futuro.

A quella felice intuizione urbanistica doveva seguire un’azione sistematica delle pubbliche amministrazioni: dal ministero per l’Ambiente alla regione Campania fino al comune di Napoli. In venti anni sono stati spesi 107 milioni pubblici, ma la bonifica non è ancora terminata. In Europa le bonifiche sono a carico di chi inquina.

E Bagnoli non è sola. Taranto è il caso più noto, ma c’è Falconara con le raffinerie a ridosso delle abitazioni; c’è Casale Monferrato dove la produzione di Eternit ha seminato morte in ogni famiglia; c’è il quartiere di Santa Giulia a Milano sorto in luoghi non bonificati; c’è Brescia con i giardini pubblici nati sui veleni. Inerzie, connivenze, malversazioni sono all’ordine del giorno. E’ appena il caso di ricordare la figura di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche ambientali, arrestato nell’ottobre del 2009 per falsa fatturazione e creazione di fondi neri nel risanamento di Santa Giulia e il suo entourage vicino all’ex presidente della regione Roberto Formigoni.

L’assenza dello Stato e la carenza dei pubblici poteri si fa sentire. Ciò che è normalità negli altri paesi europei non attecchisce in Italia. Questo ritardo culturale e di organizzazione della macchina statale deve essere superato. Finché non miglioreremo l’ambiente e l’efficienza delle nostre città, non potremo competere con le economie dei paesi che governano “normalmente” il proprio territorio.

La discriminante sta dunque nel mettere il futuro delle città al centro dell’agenda politica del nuovo governo. Attuare politiche di sostegno alla riconversione ecologica ed energetica e compiere le opere di bonifica dei siti che hanno effetti sulla salute della popolazione. E’ notizia di ieri che nove bambini del comune di Statte, una volta quartiere di Taranto dove arrivano i fumi dell’Ilva quando vanno in direzione opposta rispetto al quartiere Tamburi, sono stati sottoposti alle analisi del sangue per verificare l’esistenza del piombo nel loro sangue. In tutti i nove bambini sono stati riscontrati valori preoccupanti di presenza del metallo. Le bonifiche e gli investimenti ambientali nelle fabbriche servono a disegnare un paese civile.

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