Cultura
Norman Manea e la lingua madre della libertà
Intervista La pagina bianca da riempire è un gesto di sfida ai regimi «totalitari» e a chi semina morte in nome di un bene superiore trascendentale. Parla lo scrittore rumeno per l’uscita del libro «Varianti di un autoritratto» (Saggiatore)
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Intervista La pagina bianca da riempire è un gesto di sfida ai regimi «totalitari» e a chi semina morte in nome di un bene superiore trascendentale. Parla lo scrittore rumeno per l’uscita del libro «Varianti di un autoritratto» (Saggiatore)
Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 5 febbraio 2015
«In principio era la parola – ci dicono gli antichi. Per me la parola del principio fu romena». Nato in Bucovina nel 1936, in una regione al tempo fortemente animata dal plurilinguismo (romeno, yiddish, ucraino, polacco, lo slavo dei ruteni e poi il francese dei commerci e il tedesco delle élites), gli anni dell’infanzia – cinque, dall’ottobre del 1941 all’aprile del 1945 – trascorsi in un campo di concentramento in Transnistria, Norman Manea inizia così la propria riflessione su quella che ama chiamare la «lingua nomade», la «lingua domicilio», la «lingua placenta». Questa lingua nomade, domicilio e placenta per lui...