Editoriale

Nuovo senato, un’immunità inaccettabile

Nuovo senato, un’immunità inaccettabileLa ministra delle riforme Maria Elena Boschi – Eidon

Riforme Non si può garantire l’immunità al «ventre molle» della politica. Mose, Expo, rimborsi regionali: troppo il malaffare negli enti locali

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 24 giugno 2014

Fu porcata-bis dell’ineffabile Calderoli, o callido disegno del governo pur di assicurarsi il senato non elettivo tanto agognato? Tutti rifiutano la paternità, e l’angoscioso interrogativo sul ritorno dell’immunità-impunità percorre l’Italia e le prime pagine dei giornali. La storia dirà.
Tutto nasce per l’emendamento 6.1000, che sopprime l’art. 6 della proposta governativa, con l’effetto di estendere ai senatori di seconda scelta del «senato nuovo» la pienezza delle garanzie previste dall’art. 68, comma 2, della Costituzione per i parlamentari.

Per intenderci, parliamo dell’autorizzazione della camera per arresti, perquisizioni e intercettazioni. Dunque, esisterebbero in Italia 95 governatori, consiglieri regionali e sindaci per cui – a differenza di tutti gli altri – qualsiasi indagine della magistratura sarebbe molto difficile, di fatto impossibile, o comunque assoggettata al giudizio dei pari.

Un benefit appetibilissimo per i fortunati 95, assai più del posto auto sotto Palazzo Madama. E nessuno avanzi sottili distinguo sul punto che la garanzia costituzionale opererebbe per le funzioni di senatore, e non per quelle di sindaco, consigliere, o governatore. Come separare in concreto, nell’ambito di un’attività investigativa, l’attività svolta per il comune o la regione da quella parlamentare? E poi basterebbe condurre gli affari – per così dire più riservati – nella bouvette del senato o sul cellulare di servizio.

La radice del problema è nell’avere scelto di imbottire il nuovo senato di ceto politico regionale e locale, nel tempo del Mose, dell’Expo, degli assurdi rimborsi spese a danno del pubblico erario. Le inchieste hanno scoperto un verminaio, mostrando a tutti quel che i più avvertiti già sapevano: che la politica regionale e locale è oggi in larga misura il ventre molle del sistema Italia.

Non c’è in principio nulla di inaccettabile in un senato eletto in secondo grado. Se ne parlò ampiamente anche in Assemblea costituente. Ma ogni cosa va vista nel suo tempo. Agli albori della Repubblica, il cursus honorum era strettamente governato da forti partiti politici, che garantivano la qualità e l’onorabilità degli eletti in tutti i livelli istituzionali, dalla periferia al centro. I partiti liquidi di oggi non ne sono più capaci, come provano le ricorrenti polemiche sulla candidatura di personaggi prossimi al rinvio a giudizio, freschi di condanna, e persino in odore di mafia e camorra. Siamo molto più vicini agli Stati Uniti che nel 1913, per porre fine a scandali e corruzione, scrissero nella Costituzione l’elezione popolare diretta dei senatori.

Ben si comprende come la reazione dell’opinione pubblica sia stata nel senso dell’abolizione della guarentigia per tutti i parlamentari, piuttosto che per l’allargamento ai senatori di nuovo conio. Certo, la speciale tutela dell’art. 68, co. 2, ha avuto nella storia repubblicana grande rilievo in alcuni momenti, ad esempio quando i parlamentari della sinistra si mettevano alla testa delle manifestazioni per la riforma agraria. Ma quei tempi sono lontani. E ha più senso togliere una guarentigia vista da tanti come inaccettabile privilegio, piuttosto che allargarla a chi potrebbe approfittarne per aumentare il livello di corruttela. Del resto, non sono pochi i paesi in cui la garanzia per il parlamentare si ferma alla immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni.

Composizione del senato, status dei suoi membri, poteri dell’istituzione fanno parte di un continuum inscindibile. La polemica in atto dimostra come sia difficile – nelle condizioni reali di oggi – costruire una istituzione forte negando l’elezione diretta. Aumentare i poteri, come in qualche misura fanno gli emendamenti presentati, accresce le contraddizioni, non le risolve. E rimane soprattutto macroscopico il punto della revisione costituzionale. La Costituzione di tutti viene lasciata nelle mani di una camera poco rappresentativa in virtù della legge elettorale, e di un senato per niente rappresentativo perché affidato alle occasionalità delle vicende locali. Quale forza potrebbe mai avere domani una simile Costituzione? A questo punto, una riforma seria richiederebbe una riscrittura radicale dell’art. 138 Cost., che affidasse la revisione a un’assemblea eletta ad hoc con il proporzionale.

Stupisce che la scommessa del governo sia tanto forte. Si giunge persino a forzature incostituzionali, come la sostituzione di Mauro e Mineo in commissione. È il caso di ribadire ancora una volta che un senato non elettivo non è affatto l’unico modo di superare il bicameralismo paritario. Al contrario, si potrebbe investire su un senato forte ed elettivo nell’ambito di un sistema differenziato.
Ancora, il bicameralismo non è di per sé causa di ritardo e danno all’effettività del governare. Lo riconosce, richiamando i dati, persino Scalfari – non certo sospetto di pulsioni antigovernative – su La Repubblica.

Il 6 maggio 2014 Hollande, nel fare il bilancio dei primi due anni di Presidenza afferma che il divieto per i parlamentari del cumulo con cariche esecutive regionali e locali «c’est un grand pas pour notre démocratie». Indubbiamente, anche il nuovo senato sarebbe per noi un grande passo. Purtroppo, all’indietro.

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