Palestina, il governo italiano tace
Medio Oriente I palestinesi altro non sono che il precedente storico dell’attuale crisi dei migranti. Non a caso sono chiamati il «popolo dei campi», profughi a casa loro in Cisgiordania e Gaza, sradicati e dispersi in tutto il Medio Oriente: sono circa 5 milioni e mezzo,di serie B nei Paesi arabi e, in Palestina, in una condizione di status sospeso, occupati militarmente dall’esercito israeliano tra i più efficienti al mondo
Medio Oriente I palestinesi altro non sono che il precedente storico dell’attuale crisi dei migranti. Non a caso sono chiamati il «popolo dei campi», profughi a casa loro in Cisgiordania e Gaza, sradicati e dispersi in tutto il Medio Oriente: sono circa 5 milioni e mezzo,di serie B nei Paesi arabi e, in Palestina, in una condizione di status sospeso, occupati militarmente dall’esercito israeliano tra i più efficienti al mondo
«Aiutiamoli a casa loro», è lo scellerato proposito derivato da destra e giunto prima del 4 marzo fin dentro il governo di centrosinistra a guida Pd. E ora mantra governativo del dramma dei profughi. Una parola d’ordine che azzera la tragedia delle migrazioni come realtà epocale, a fronte di guerre e miseria che derivano per buona parte dal nostro modello occidentale di sviluppo.
Eppure il «mantra» viene invece assolutamente disatteso se si tratta dei diritti dei palestinesi. I quali altro non sono che il precedente storico dell’attuale crisi dei migranti. Non a caso sono chiamati il «popolo dei campi», profughi a casa loro in Cisgiordania e Gaza, sradicati e dispersi in tutto il Medio Oriente: sono circa 5 milioni e mezzo,di serie B nei Paesi arabi e, in Palestina, in una condizione di status sospeso, occupati militarmente dall’esercito israeliano tra i più efficienti al mondo; senza Stato, economia, terra, attraversata com’è da Muri, occupata da insediamenti colonici così tanti che ormai mettono in discussione la continuità territoriale di una formazione statale possibile. E repressi violentemente nelle loro istanze di libertà, imprigionati a centinaia nelle galere dell’«unica democrazia» del Medio Oriente in mano all’estrema destra e a guida Netanyahu; costretti a vivere tra i posti di blocco e a subire la negazione della loro storia con l’attribuzione di tutta Gerusalemme all’occupante israeliano.
Almeno, pensò la comunità internazionale e gli Stati uniti in primis nel 1949 – a ridosso della Nakba, la cacciata dei palestinesi dalla loro terra -, aiutiamoli in questa condizione di profughi con un sostegno «che implementi la pace», la Risoluzione 194 nella fattispecie. Nacque coì l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi. Non ha aiutato la pace a quanto pare, ma solo la sopravvivenza di milioni di bambini, donne lavoratori e soprattutto ha comunque salvaguardatocosì il diritto dei profughi a pensare di potere tornare nella loro terra. Diritto, del resto, costitutivo dello Stato d’Israele.
Bene. Ora il presidente Usa Trump, non contento della concessione a Netanyahu di «Gerusalemme capitale d’Israele», di fatto con lo spostamento dell’ambasciata americana, annuncia la cancellazione dei fondi statunitensi all’Agenzia Unrwa-Onu della quale sono stati il maggior contribuente con circa 380milioni di dollari. Un atto criminale, che svela insieme alla natura dei rapporti di forza e la tragedia di un popolo.
Un atto rischioso però, già qualcuno parla di una nuova Intifada che potrebbe essere innescata proprio da questo gesto che azzera l’intera condizione di un popolo senza offrire alcuna contropartita e alternativa di pace. Anzi no. Per i palestinesi c’è la tragicomica riproposizione-riedizione Usa, dagli anni Settanta e lì morta e sepolta, della «confederazione con la Giordania».
La protesta monta, ma c’è qualche reazione europea avveduta e importante insieme a troppi silenzi colpevoli e assordanti. Soprattutto da parte dell’Italia che ha storicamente avuto un ruolo importante nella crisi mediorientale. E che tace invece anche di fronte alla distruzione decisa dalla Corte suprema d’ Israele di una scuola, alle porte di Gerusalemme, costruita dagli italiani.
Così, mentre la «perfida» Germania e la Spagna hanno deciso, in risposta a Trump, di raddoppiare il loro contributo all’Unrwa, il governo italiano, a contratto M5S-Lega, tace. Sarà per l’andirivieni di Salvini e Di Maio all’ambasciata americana, sarà per la sostanziale subalternità, certo ereditata dai governi di centrosinistra, a gestire i disastri delle troppe guerre alle quali abbiamo partecipato.
Oppure sarà perché Trump finalmente mette in chiaro le volontà di potenza. Ma imbroglia, come sta facendo adesso con la crisi siriana e Idlib. Per non accettare la sconfitta della coalizione alleata che voleva fare a Damasco quello che nel 2011 era riuscito a Tripoli, ora il presidente americano si dice preoccupato della sorte dei civili a Idlib, circa 2milioni e mezzo di persone in mezzo a due fuochi, e intanto ostaggio di un raggruppamento a guida qaedista. Che dovrebbe invece abbandonare il campo, dice l’inviato dell’ Onu De Mistura, permettendo l’uscita e la liberazione della popolazione. Com’è accaduto nelle sconfitte jihadiste precedenti.
Intanto si prepara un’altra provocazione sulle presunte «armi chimiche» con spot di “caschi bianchi” finanziati dallo Stato cofondatore dei jihadisti, l’Arabia saudita. Trump poi diventa umanitario, a 5 giorni dalla dichiarazione della coalizione a guida Usa che bombarda in Siria, che ha ammesso tranquillamente di avere ucciso «involontariamente» – si chiama terrore dall’aria – mille civili nei raid su obiettivi siriani. E c’è da temere che anche i raid russi non risparmieranno i civili.
Ecco che Trump diventa «umanitario» in Siria e intanto cancella gli aiuti a 5 milioni e mezzo di profughi palestinesi. I quali, se potessero arrivare nel Mediterraneo sulle nostre coste e in tutta Europa, renderebbero ben chiara la loro disperazione. Ma non lo possono fare perché sono dentro un grande recinto di fili spinati, un posto sicuro, la «democrazia» militare israeliana.
Dovremmo aiutare i palestinesi a casa loro, almeno secondo la vulgata populista corrente. Ma l’Italia tace. E chi tace…
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