Pascoli fantasma, in Abruzzo e non solo
L'Aquila Centinaia di ettari di terre di alta quota improduttive e abbandonate usucapite o acquistate senza un motivo apparente. Il sospetto è che si tratti di "pascoli fantasma" su cui intascare i contributi pubblici per l'allevamento. Anche se gli armenti non ci sono mai stati
L'Aquila Centinaia di ettari di terre di alta quota improduttive e abbandonate usucapite o acquistate senza un motivo apparente. Il sospetto è che si tratti di "pascoli fantasma" su cui intascare i contributi pubblici per l'allevamento. Anche se gli armenti non ci sono mai stati
La signora Alda muore nel 2008, senza eredi. C’è un testamento, però, nel quale si dispone la vendita dei suoi beni. Tra questi c’è un terreno, che il Tribunale di L’Aquila mette all’asta per una cifra di partenza di 137.000 euro. Non si presenta nessuno, la questione resta in sospeso, sepolta dalla burocrazia. E nel 2015 il terreno viene finalmente acquistato per la cifra di 25.000 euro.
Questa storia si svolge a Calascio, minuscolo comune (130 abitanti censiti) in provincia di L’Aquila. È una delle tante: sono centinaia le particelle catastali, per un totale di molte decine di ettari: si tratta di terreni quasi del tutto improduttivi, abbandonati, elementi neutri del paesaggio montuoso di questa zona dell’Abruzzo. E l’agenzia immobiliare della famiglia Catini sta comprando tutto, un pezzo dopo l’altro.
È il giugno del 2020, Walter Catini decide di donare a suo figlio Andrea e al sindaco di Calascio Ludovico Marinacci una cinquantina di ettari, dichiarandosene proprietario da più di vent’anni (l’arco di tempo che fa scattare l’usucapione).
La vicenda fa discutere in paese: escono fuori persone che rivendicano diritti sui terreni venduti, dicono di non sapere niente delle compravendite. Se ne interessa la procura di L’Aquila, che apre un’indagine e la polizia indaga: gli ascoltati, tra allevatori e cittadini di Calascio, sono quasi una decina. Il mistero è fitto: tra pratiche amministrative, rogiti notarili, eredità non rivendicate da decenni, per gli investigatori il lavoro sulle carte è complesso, lento, di difficile interpretazione.
Lo scorso giugno in Comune viene giù tutto: il sindaco Marinacci si dimette, con lui altri 6 consiglieri. La prefettura non ha potuto fare altro che nominare un commissario in attesa di nuove elezioni.
Che succede a Calascio? La vita scorre lenta, le giornate sono tutte molto simili tra loro, il massimo è l’arrivo dei turisti alla Rocca nei weekend, o la schiera di camminatori di montagna all’avventura tra i sentieri. Il paese è un puntino di case vecchie, intorno ci sono ettari ed ettari non coltivati, buoni per i pascoli.
Ecco, il punto è questo: i pascoli. C’è un problema, di queste bestie che dovrebbero occupare i terreni se ne vedono poche. Pochissime. In paese c’è addirittura chi non le ha mai viste. Perché?
La magistratura contabile di Trento, qualche mese fa, ha emesso una sentenza con la quale si condannavano un noto allevatore e il suo prestanome al risarcimento di 111.000 euro di danno erariale.
La storia però è abruzzese: ci sono terreni comprati all’insaputa dei proprietari e dei pascoli fantasma che nessuno ha mai visto. La tesi dell’accusa, confermata in giudizio, è che tutta questa storia sia servita a incassare i contributi europei destinati ai pascoli, in assenza però di bestiame.
Lo scorso aprile, a Messina, una sentenza del tribunale parla di condanne pesanti a sei imputati. È la mafia dei Nebrodi, e anche qui la storia riguarda una truffa – nello specifico alla Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura –, ovvero l’uso di terreni per far pascolare animali fantasma e prendere fondi e contributi. Dal 2013, in questo caso, la cifra incassata sarebbe di oltre 10 milioni.
A Calascio non siamo a questo punto. E non è nemmeno detto che ci si arrivi. Ci sono però delle storie incrociate. Pezzi di indagine, voci di paese, carte bollate in quantità. C’è anche un esposto, scritto da qualche coraggioso che però fatica a trovare allevatori che vogliono associarsi: in zona c’è paura. E poi, forse, nemmeno vale la pena mettersi a fare la guerra per delle terre di cui interessa poco a pochissimi.
Gran parte dei terreni di proprietà comunale sono già affittati ad allevatori, per lo più pugliesi. La voce nel bilancio del municipio di Calascio è importante, i conti riportano così e per un comune piccolissimo (dunque poverissimo) ogni entrata è ossigeno puro. Nel 2017 anche due aziende trentine chiedono al Comune l’affitto di alcuni terreni, ma si sentono rispondere di no perché sono tutti occupati. È da questo momento che l’agenzia Catini e il sindaco Marinacci scendono in affari e cominciano a comprare particelle catastali su particelle catastali: il conto parziale è di circa 300 per una cinquantina abbondante di ettari.
Ufficialmente Catini e Marinacci non sono tenuti a dare spiegazioni – e infatti non le danno –, ufficiosamente si capisce che l’obiettivo sia mettere su dei pascoli, sfruttando la legge regionale abruzzese che distribuisce i fondi prima alle aziende che hanno sede sul territorio e poi, eventualmente, agli altri.
L’idea di fondo, dicono in paese, è di prendere questi terreni, fare una società e poi «affittare» i terreni a chi ha delle bestie da farci pascolare: allevatori interessati ci sono in ogni parte d’Italia. Sempre che le bestie ci siano, perché qui tutti dicono di vederne ben poche in giro.
L’indagine è aperta, nell’abbandono dell’estrema provincia gran parte del territorio è incustodito. Può succedere di tutto, anche che pascolino fantasmi. Tanto non controlla nessuno, e i contributi arrivano lo stesso.
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