L’esempio svizzero
Oggi metterò nell’urna elettorale la mia prima scheda come cittadino svizzero. «Cuore, settimanale di resistenza umana» avrebbe inserito questa affermazione nella rubrica del giornale intitolata: «E chi se ne frega». […]
Oggi metterò nell’urna elettorale la mia prima scheda come cittadino svizzero. «Cuore, settimanale di resistenza umana» avrebbe inserito questa affermazione nella rubrica del giornale intitolata: «E chi se ne frega». […]
Oggi metterò nell’urna elettorale la mia prima scheda come cittadino svizzero. «Cuore, settimanale di resistenza umana» avrebbe inserito questa affermazione nella rubrica del giornale intitolata: «E chi se ne frega». In effetti per quel che riguarda il fatto in sé si tratta di una notizia del tutto trascurabile, una non notizia. Diverso interesse, invece, per l’oggetto su cui tutti i cittadini svizzeri sono chiamati ad esprimersi il 24 novembre, cioè l’iniziativa popolare federale denominata 1-12.
Tale iniziativa propone di inserire nella Costituzione Federale un nuovo articolo sotto il titolo specifico di «Politica salariale». Questo il testo dell’articolo proposto: «Il salario massimo versato da un’impresa non può superare di oltre dodici volte il salario minimo versato dalla stessa impresa. Per salario si intende la somma delle prestazioni (denaro e valore delle prestazioni in natura o servizi) che sono corrisposte in relazione a un’attività lucrativa». In caso di approvazione gli effetti dell’articolo si estendono a tutte le imprese, pubbliche e private, che operano su territorio svizzero.
La formulazione, chiara e netta, già in prima lettura evidenzia una problematica del tutto estranea alla discussione politica italiana (e non solo). Sarebbe però un errore fermare la nostra attenzione al livello della «giustizia retributiva» mettendo l’accento soprattutto sull’aspetto etico dell’iniziativa, aspetto, peraltro, tutt’altro che secondario.
«Di che cosa parliamo quando parliamo dell’iniziativa 1:12», si chiede in questi giorni un «mensile progressista» svizzero. «Parliamo davvero solo della Svizzera? Parliamo soltanto dei nostri salari? Oppure parliamo di un aspetto assai più ampio, che trascende i nostri confini e si estende in Europa, negli Stati Uniti, nei Paesi emergenti… e di fatto ovunque nel mondo? Parliamo della disuguaglianza, frutto di un capitalismo (…) unico motore del mondo per il pensiero unico dominante» (Confronti, 30 ottobre 2013). Parliamo cioè, si può aggiungere, della sostanza della democrazia, quindi dei fondamenti di un confronto politico degno di questo nome.
Proprio a partire da questi fondamenti ha acquistato particolare spessore la discussione che si è svolta, e che ancora si sta svolgendo sui media svizzeri.
I «partiti borghesi», in difficoltà a difendere le enormi disuguaglianze dei redditi sulla base di tutte le possibili declinazioni dell’etica, sono stati costretti ad articolare le proprie argomentazioni ricorrendo alle categorie «naturalistiche» del «mercato che lo vuole».
Dunque anche i socialisti (l’iniziativa è stata promossa dai giovani socialisti e il partito l’ha accettata), che pure non possono essere accusati di scarso realismo e moderazione, hanno dovuto provarsi a mettere in discussione tale «fondamento» e quindi ad allargare i propri riferimenti in direzione delle teorie critiche. In sostanza elementi di un discorso finora interno a gruppi di élites intellettuali sono diventati aspetti non secondari del discorso pubblico.
Ho usato l’espressione «partiti borghesi». Qualche lettore potrebbe interpretare tale uso linguistico come spia della nostalgia di un comunista impenitente. Invece si tratta di un uso del tutto comune nella pubblicistica e nel linguaggio politico svizzeri. A tale espressione lo Historiches Lexikon der Schweitz, pubblicazione di alto prestigio scientifico, ha dedicato ampio spazio argomentando il percorso continuativo dell’espressione a partire dall’ultimo quarto del XIX secolo, cioè dal momento della solidificazione dell’antitesi socialismo-movimento operaio. Ebbene, per quanto riguarda i «partiti borghesi», la voce dello Historiches Lexikon si conclude con queste righe: «All’inizio del XXI sec. il loro ruolo preminente (…) non appare in pericolo: nelle elezioni essi si sostengono a vicenda, mentre nelle votazioni popolari dispongono tuttora di più elevate risorse finanziarie e del sostegno maggioritario della stampa e possono in larga parte attuare la loro politica». Dunque l’iniziativa 1:12 è un ostacolo strutturale della politica dei «partiti borghesi», e questo nonostante la consolidata moderazione della grade maggioranza del socialismo svizzero.
Ho provato a trovare qualche traccia di analisi strutturale, per lo meno della crisi in atto, nei documenti congressuali dei quattro candidati alla segreteria del Pd. Compito arduo, pressoché impossibile, proprio perché il rifiuto di quel tipo di analisi è di per sé già una caratteristica strutturale della cultura politica quei partiti che, sia pure con differenti sfumature, si pongono l’obiettivo primario di rivolgersi a tutti.
I quattro documenti presentati dai candidati sono composti da circa ottantamila parole. Il termine capitalismo, indicatore fondamentale per qualsiasi analisi di fase che non coincida con la pura descrizione, ricorre 7 volte. Più interessante vedere in quale accezione il termine viene usato. Il candidato supposto vincente si limita a una sola citazione per prendere le distanze dal «capitalismo all’italiana più basato sulle relazioni che sui capitali». Il suo avversario principale, quello che viene dal Pci, cita il termine due volte, per dichiararsi contrario al «capitalismo pubblico invasivo», per lamentarsi di un «capitalismo privato» che è stato «incapace di occupare lo spazio libero dallo Stato». Parole in assenza di qualsiasi dimensione analitica.
L’iniziativa popolare 1:12, invece, ha costretto il discorso pubblico a fare i conti con tutto lo spessore di quella parola a partire da un appuntamento elettorale.
Nel maggio 2014 l’Italia è attesa dall’importante appuntamento delle elezioni europee. È possibile arrivarci con uno schieramento politico che si provi ad imporre al discorso pubblico lo stesso spessore che l’iniziativa 1:12 è riuscita a promuovere?
Il movimento per la difesa della Costituzione, anzi, come dice opportunamente Landini, per l’applicazione della Costituzione, se vuol essere davvero coerente, non può che prendere atto che il suo obiettivo presuppone un radicale rifiuto del discorso politico corrente e degli schieramenti politici dell’establishment. Non si può stare con chi ha votato la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e contemporaneamente essere per la difesa e l’applicazione della Costituzione.
Per coloro che si sono ritrovati nella manifestazione del 19 ottobre la cosa è del tutto ovvia. Nei prossimi giorni prenderà avvio la discussione ed il confronto sul «Piano del Lavoro» elaborato dal Prc. È possibile che tutto questo lievito non possa solidificarsi nel pane di una costruzione anche politico-elettorale? Di una forza capace di portare il discorso sui fondamenti anche nelle istituzioni europee?
Da cittadino italiano vorrei votare nelle elezioni del maggio 2014 con quella stessa convinzione con cui, da cittadino svizzero, tra pochi giorni deporrò nell’urna il mio sì all’iniziativa 1:12.
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