L’autrice dell’articolo, Cristina Morini, afferma:
"La crisi dei sistemi collettivi di assicurazione sociale come forma di garanzia del lavoro nella società fordista e nei modelli keynesiani di governance si accompagna al crollo, a mio modo di vedere definitivo, della società salariale."
"Il fatto che la precarietà sia diventata la forma prevalente di organizzazione del lavoro contemporaneo è, insomma la chiave di volta per capire anche il fenomeno della «grandi dimissioni», almeno nel contesto italiano."
Ebbene, stando ai dati disponibili Istat più recenti, il quadro del mercato del lavoro in Italia disegnato dall’autrice dell’articolo (“crollo definitivo della società salariale, precarietà forma prevalente del lavoro contemporaneo, grandi dimissioni”) non corrisponde alla realtà.
Indica certamente una tendenza in atto, ma i numeri sono ancora i seguenti:
- Occupati totali circa 25 milioni.
- Dipendenti 18 ml, Autonomi 7 ml.
- Dipendenti a tempo indeterminato 15 ml.
- Dipendenti a tempo determinato 3 ml.
- Disoccupati 2 ml.
- Inoccupati quasi 13 ml.
L’analisi delle tendenze attuali indica un incremento dell’occupazione dipendente, a carico prevalentemente del lavoro precario a tempo determinato, che rimane tuttavia nettamente minoritario. E una relativa decrescita della disoccupazione.
Dunque come si può parlare di crollo definitivo della società salariale e della precarietà come forma prevalente del lavoro contemporaneo, se non in via del tutto ipotetica e tendenziale e non certo come dati di fatto?
Quel che invece possiamo constatare quotidianamente e che viene sottolineato nell’articolo, è il progressivo smantellamento dello stato sociale e dei servizi pubblici. Processo che sta alla base dell’impoverimento della classe media e dell’insorgere del fenomeno del lavoro povero, che pur avendo un salario sicuro non c’è la fa a fare fronte a tutte le spese mensili.