Quirinale a buon diritto
Un nome che potrebbe raccogliere il consenso della maggioranza dei grandi elettori, dal Pd ai 5 Stelle, e così rappresentare finalmente quella condivisione che tanto abbonda nelle parole quanto scarseggia […]
Un nome che potrebbe raccogliere il consenso della maggioranza dei grandi elettori, dal Pd ai 5 Stelle, e così rappresentare finalmente quella condivisione che tanto abbonda nelle parole quanto scarseggia […]
Un nome che potrebbe raccogliere il consenso della maggioranza dei grandi elettori, dal Pd ai 5 Stelle, e così rappresentare finalmente quella condivisione che tanto abbonda nelle parole quanto scarseggia nei significati che sottintende. E che, proprio per questo spirito gattopardesco delle liste dei papabili, pescati nella nomenklatura, è il petalo che ancora manca dal tavolo della trattativa dei partiti. Il nome è quello di Stefano Rodotà. Un’assenza che certo non stupisce.
Nella convulsa, seppure lentissima, marcia di avvicinamento alla prima votazione per il Quirinale, molte carte sono ancora coperte. E sarà difficile che se ne possa scoprire una diversa dal mazzo usurato in mano ai politici. La carta di un difensore, senza se e senza ma, della Costituzione, di un militante della migliore tradizione della sinistra libertaria e garantista, di uno studioso impegnato nella religione civile del pensiero laico, di un teorico della democrazia partecipativa e dei beni comuni.
Stefano Rodotà è invece tra i più citati dai sondaggi della rete e, da oggi, è anche il nome che i firmatari di una petizione recapitano ai grandi elettori del prossimo presidente della repubblica. A parte l’unico difetto di non essere una donna, Rodotà sarebbe il primo, forte segnale dell’arrivo a destinazione del messaggio di cambiamento espresso dal voto.
Citando l’articolo 50 della Carta, la petizione si riferisce a una «comune necessità» e chiama i parlamentari a raccogliere la richiesta di eleggere un presidente con un «altissimo profilo di etica pubblica», un capo dello stato che sia espressione «del popolo e dell’accademia», un uomo delle istituzioni in cui possono convergere «sia chi si riconosce nel sistema dei partiti, che quelli che non ci riconoscono più». Una figura forte di collegamento tra la società e la politica, una personalità capace di ricostruire un legame robusto tra la democrazia rappresentativa e quella diretta, tra il populismo e i partiti. Un lavoro che Rodotà proseguirà al teatro Valle di Roma dove oggi si discute del diritto dei beni comuni. Contro i poteri forti, contro le diseguaglianze, per una nuova idea di cittadinanza. Come spiega nella riflessione raccolta nel suo ultimo libro, Il diritto di avere diritti. Un bel titolo e anche un ottimo viatico per il prossimo settennato.
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