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Rileggendo «Servabo» di Luigi Pintor

Il divano «Mi era rimasto nell’orecchio che le rivoluzioni riescono quando le preparano quelli che non c’entrano niente, i poeti e i pittori, purché sappiano qual è la loro parte. E poiché gli operai possono fare da soli moltissime cose meglio di chiunque, ma difficilmente un prodotto immateriale com’è un giornale, fui persuaso che questo compito spettava a dei giovani acculturati, purché lo assumessero come un compito speciale: un compito d’onore»

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 21 dicembre 2018
«Scritta sotto il ritratto di un antenato mi colpì, quand’ero piccolissimo, una misteriosa parola latina: servabo. Può voler dire conserverò, terrò in serbo, terrò fede, o anche servirò, sarò utile». Nella flessione di possibili variazioni, il costante significato di quella voce verbale sta nella determinazione individuale ad assumersi una responsabilità come un pegno d’onore. Ed allorché nell’aprile del 1991, presso l’editore Bollati Boringhieri, Luigi Pintor decide di pubblicare una sua ‘memoria’ nel «tentativo, scrive, di restituire alle cose una durata che di per sé non hanno»; appunti, aggiunge, che «sono soltanto un espediente per riordinare nella fantasia dei conti che...

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