«Rise», la vera storia di Antetokounmpo, dalla povertà all’Nba
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«Rise», la vera storia di Antetokounmpo, dalla povertà all’Nba

La clandestinità insieme alla sua famiglia fuggita dalla Nigeria, la Grecia, l’arrivo in America, il basket. Diretto dal regista nigeriano Akin Omotoso, il film è visibile su Disney +

Sulle piattaforme La clandestinità insieme alla sua famiglia fuggita dalla Nigeria, la Grecia, l’arrivo in America, il basket. Diretto dal regista nigeriano Akin Omotoso, il film è visibile su Disney +

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 29 giugno 2022

La storia di Giannis Antetokounmpo e della sua famiglia sembra fatta apposta per il cinema. Almeno così si diceva una volta, prima che saltassero fuori le piattaforme online e che le sale cinematografiche cadessero in disgrazia. Ma i modi di dire resistono anche alle diverse abitudini degli spettatori e alle politiche distributive che non tengono più conto delle cosiddette finestre temporali. Che sia più corretto dire «per il piccolo schermo» anziché «per il grande», resta il fatto che la vicenda avventurosa di Charles e Vera, una coppia nigeriana che fugge da Lagos nel 1990, che si separa da un figlio che era troppo piccolo per intraprendere un viaggio così pericoloso, che si nasconde in Turchia scampando a veri e propri rastrellamenti, che poi trova riparo nella Grecia di Alba Dorata e delle politiche anti migranti, e che, infine, grazie a uno dei quattro figli nati ad Atene, Giannis, arriva trionfalmente negli Stati Uniti, è una di quelle storie incredibili che obbligatoriamente richiamano l’attenzione di produttori, sceneggiatori e registi.

A narrare le vicende di Giannis Antetokounmpo, preso in modo rocambolesco dai Milwaukee Bucks nel 2013, eletto due volte miglior giocatore della Lega e campione Nba nel 2021 con prestazioni da libro dei record, è stata la piattaforma Disney+ che da qualche giorno ha rilasciato Rise. La vera storia di Antetokounmpo, diretto dal regista nigeriano Akin Omotoso.

IL FILM rivela le origini di Giannis Antetokounmpo, tutti i momenti chiave nei quali The Greek Freak avrebbe potuto prendere una direzione radicalmente opposta a quella che l’ha condotto al titolo Nba. Poteva non nascere ad Atene, poteva essere cacciato in qualsiasi momento dalla Grecia, poteva non giocare a basket perché privo di documenti (tra l’altro lui voleva diventare un calciatore), poteva non arrivare negli Stati Uniti perché nessuna squadra era disposta a mettere sotto contratto un talento grezzo per di più «irregolare». E poteva lui stesso decidere di non uscire allo scoperto col rischio di non farcela e di esporre inutilmente la famiglia che comunque continuava a essere in una condizione di clandestinità.

TUTTO sembrava andare contro quel ragazzo, almeno fino al Draft del 2013. E anche in quel caso, comunque, le cose si stavano mettendo male. Per quattordici volte al posto suo furono chiamati giocatori che in seguito non avrebbero lasciato il suo stesso segno. Poi al quindicesimo tentativo, il bambino che vendeva occhiali da sole per le strade di Atene si è trasformato nel teenager che ritirava la maglia dei Bucks.

La vita di Giannis Antetokounmpo è contraddistinta dai bivi, da scelte o casualità che lo hanno condotto in un punto anziché in un altro. Ad esempio, quando in una partita decisiva contro gli Atlanta Hawks che poteva valere l’accesso alle finali del 2021, ricadde male rischiando di frantumarsi il ginocchio. Tutti, vedendo quell’immagine, credettero che la stagione di The Greek Freak fosse terminata. E, invece, dopo un paio di gare il greco nigeriano tornò in campo e condusse i suoi al titolo.

LA STORIA reale e quella cinematografica, perciò, dimostrano quanto la perseveranza e lo stare insieme siano elementi fondamentali. L’equivoco narrativo sta nel trasformare questa storia in un esempio edificante a causa di una vittoria. Quello che dovremmo osservare con attenzione in questo e in altri film non sono il successo o l’avercela fatta. Bensì, che un ragazzo nato in Grecia non sia considerato greco, oppure che genitori come Charles e Vera non possano lavorare se non esibiscono un permesso di soggiorno. Insomma, il punto nel quale il film deraglia, paradossalmente, è proprio quando gli Antetokounmpo vedono premiati i i loro sacrifici. L’essere stati inseguiti, rifiutati, costretti alla povertà non sono degli extra che rendono la vittoria ancor più significativa e degna di una rappresentazione. Finché le moltitudini saranno costrette a scomparire, le vittorie dei pochi continueranno a essere la nostra sconfitta.

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