Cultura

Se il pensiero libertario rinuncia alla rivolta

Se il pensiero libertario rinuncia alla rivoltaParticolare dalla mostra «Cubes and Anarchy: An Installation» (2011) Whitney Museum of American Art

Scaffale «Dialoghi sull’anarchia» di David Graeber, per Elèuthera. Tesi che al pari di quelle di altri teorici anarchici statunitensi sembrano valorizzare solo spazi di autonomia dentro il sistema liberaldemocratico

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 5 novembre 2022

Esiste una tradizione di pamphlet libertari costruiti in forma di dialogo, basti pensare a Fra contadini e Al caffè di Errico Malatesta. Per il maggior teorico italiano dell’anarchismo a cavallo tra ‘800 e ‘900, le conversazioni tra personaggi immaginari erano funzionali a divulgare gli ideali internazionalisti tra il popolo.

A OLTRE UN SECOLO da quei libelli, esce Dialoghi sull’anarchia (Elèuthera, pp. 247, euro 18, traduzione di Alberto Prunetti) di David Graeber, che con l’aiuto del filosofo Mehdi Belhaj Kacem, dell’artista Nika Dubrovsky e della regista Assia Turquier-Zauberman, propone una divulgazione del proprio pensiero, un’argomentazione persuasiva dell’utilità generale di un «comunismo della vita quotidiana» e, forse, anche una rottura con l’«anarchismo classico».

Antropologo di formazione, Graeber, prematuramente scomparso nel 2020, con Chomsky, Bookchin e Clastres, è tra i pensatori libertari più conosciuti dell’ultimo mezzo secolo; è autore di Debito. I primi 5000 anni; Bullshit jobs; Il potere dei re, con Marshall Sahlins; L’alba di tutto, con David Wengrow, e ha innervato le proprie ricerche dell’esperienza fatta «sul campo» con le attività politiche dal basso, come quella di Occupy, nel 2011.

In questo caso, gli interlocutori interrogano l’antropologo non tanto sulla storia e sui fondamenti del pensiero libertario quanto sull’importanza di uno sguardo anarchico per intervenire nella vita quotidiana, ridisegnando una genealogia antiautoritaria che non si esaurisce nella «cultura atlantica».

IL LIBRO ATTRAVERSA tutte le tematiche affrontate da Graeber nella sua ricerca ed è quindi un buon viatico per iniziare a conoscere la sua opera.

Il valore, lo scambio e il debito; la democrazia intesa come storia e uso del termine; le politiche dal basso contemporanee e l’uso dell’azione diretta; la regalità, in particolare quella divina; la burocrazia e l’inibizione della creatività interpretativa; l’inutilità dei lavori contemporanei; l’emergere delle disuguaglianze; la creatività delle forme orizzontali di organizzazione; tutti questi temi vengono affrontati con «un utile sguardo retrospettivo in grado di riassumere in modo sintetico e provocatorio» gli spunti del pensiero graeberiano, come sostiene Stefano Boni nell’utile introduzione.

Certo che – nonostante Graeber fosse iscritto al celebre e storico sindacato Industrial Workers of the World, probabilmente più per rivendicare un’appartenenza ideale che per convinzione della sua forza attuale – il suo pensiero, come quello di altri teorici libertari degli Stati Uniti, rinuncia a individuare una nuova lettura di classe, rinuncia a rivoluzioni e rivolte e preferisce valorizzare spazi di libertà all’interno del sistema liberale-democratico.

«L’anarchia non è un atteggiamento, né una visione, né un insieme di pratiche: è il processo di continua interazione tra questi tre poli. Quando un gruppo di persone si oppone a una qualunque forma di dominio e inizia a immaginare un mondo diverso, modificando di conseguenza le proprie relazioni con gli altri… beh è questa l’anarchia, comunque vogliate chiamarla»David Graeber

Forse non è un caso che l’edizione originale di questo libro sia uscita per le edizioni svizzere Diaphanes, nella collana diretta da Kacem e Jean-Luc Nancy che rivendica le «anarchie e non l’anarchismo», perché «gli ismi smussano sempre il bordo di un vigore, di un’origine sempre disseminata e frammentata; del principio dell’assenza di qualsiasi principio guida per l’azione come per il pensiero».

PENSIERO CHE SEMBRA condiviso da Graeber stesso, quando scrive: «L’anarchia non è un atteggiamento, né una visione, né un insieme di pratiche: è il processo di continua interazione tra questi tre poli. Quando un gruppo di persone si oppone a una qualunque forma di dominio e inizia a immaginare un mondo diverso, modificando di conseguenza le proprie relazioni con gli altri… beh è questa l’anarchia, comunque vogliate chiamarla».

Insomma un anarchismo che, sulla scia del «pensiero debole» rinuncia non solo a una teoria «forte» ma che abbandona «non solo l’idea di rivoluzione ma anche quella di cambiamento radicale», come denuncia Eduardo Colombo, in l’Immaginario rivoluzionario (Elèuthera), a proposito delle tendenze contemporanee dell’anarchismo: «Si abbandona l’idea di un cambiamento radicale profondo del sistema di dominio e di sfruttamento, l’anarchismo» – così come tutti i pensieri e le politiche egualitarie – «scompare in quanto tale, e finisce solo per essere una filosofia di vita».

Se così fosse significherebbe che, le «zone morte dell’immaginazione» individuate proprio da Graeber, forse hanno pervaso anche la nostra capacità di pensare e agire.

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