Editoriale

Serve un cambiamento, anche generazionale. Per cambiare passo

Sinistra «La semplicità che è difficile a farsi», diceva Brecht. Concentriamoci sul fatto che è semplice, necessario, di buon senso. Ma allo stesso tempo ricordiamoci che ha bisogno di una spinta, […]

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 16 novembre 2013

«La semplicità che è difficile a farsi», diceva Brecht. Concentriamoci sul fatto che è semplice, necessario, di buon senso. Ma allo stesso tempo ricordiamoci che ha bisogno di una spinta, dell’intervento di una volontà soggettiva. Altrimenti – semplicemente – non si farà mai. Non stiamo parlando del comunismo, ma di molto meno: di una urgenza che sgorga da una realtà che i lettori del manifesto conoscono bene.

Siamo arrivati al punto più grave della crisi, al punto più intollerabile delle ineguaglianze sociali, al punto più estremo della lotta di classe del capitale contro il lavoro e manca – nel nostro Paese – un soggetto che unifichi le resistenze e le trasformi, accumulando una massa critica sufficiente, in un punto di riferimento reale per milioni di persone. È ciò che da tempo, inascoltata, chiede la Fiom-Cgil, perché il lavoro non può rimanere senza voce, senza rappresentanza, senza politica, senza potere.

Noi siamo dentro al tunnel e la luce non si vede neppure in lontananza, perché il governo delle larghe intese è tutto fuorché una parentesi. La grande coalizione è il recinto nel quale tutti vincono e tutti governano. Sconfitta l’alternativa in una guerra lunga trent’anni, è ora in soffitta pure l’alternanza. La Sinistra non c’è più e, senza la Sinistra, rimangono il deserto, la solitudine, la frammentazione, il senso di impotenza.

Rimangono una miriade di errori, un Partito Democratico assorbito nel campo del neo-liberismo, delle sue politiche di austerità e di rigore e alla sua sinistra una serie infinita di esperienze sconfitte, spesso travolte dal riflesso condizionato dell’autosufficienza e del minoritarismo.

Travolte – tutte – da una costante: errori e insufficienze soggettive che chiamano in causa le responsabilità dei gruppi dirigenti che hanno diretto sin qui le forze della sinistra italiana.
Bisogna imparare a riconoscere che non sempre è colpa degli altri. Talvolta è anche colpa nostra. Se ne deve prendere atto. Questo è il punto. O invertiamo la rotta o affondiamo.

Si guardi quel che accade in giro per l’Europa: cresce in tutto il Continente una sinistra d’alternativa capace di unire le forze migliori e di presentare nei propri Paesi proposte di governo efficaci, in grado di attrarre consensi e di lanciare alle socialdemocrazie la sfida del cambiamento, incalzandole – proprio perché alternativa – a rompere il patto mortale con i popolari e le destre. Ed è tanto più credibile quanto più si presenta forte di una vocazione al rinnovamento, capace di mettere a fuoco una questione generazionale (il precariato come forma di vita, innanzitutto) che ovunque chiede spazio e reclama centralità, nuovi paradigmi e linguaggi per interpretarla.

Questa sinistra cresce in tutta Europa – con formule, modalità aggregative e nomi diversi, a indicare che non ci sono modelli ma solo intuizioni feconde – tranne in Italia. Per questo serve il cambiamento, anche generazionale, facendo fino in fondo i conti con l’urgenza di avviare un processo costituente nel quale irrompano le nuove generazioni.

Per ridare voce e potere ai movimenti reali, ai soggetti che manifestano la volontà di cambiare, per ridare una prospettiva ai tanti che non lottano più e ai tanti che non hanno mai neppure pensato di potere iniziare a farlo. Serve un grande atto di innovazione e di rottura. Un cambio di passo.

Qui si collocano il nostro ragionamento e la nostra ambizione, certamente sproporzionata rispetto alle forze di cui disponiamo. Siamo lavoratori, militanti, studenti, intellettuali e professionisti. Ci siamo conosciuti in anni di lotte, nelle Università e nelle piazze, nessuno vergognandosi della propria identità ma tutti consapevoli della parzialità e dell’insufficienza delle singole appartenenze. Abbiamo realizzato in questi giorni un blog (esseblog.it) e il numero zero di una rivista on-line, alla quale abbiamo dato un nome – la Costituente – che ha radici profonde e che programmaticamente descrive l’esigenza che vediamo di fronte a noi. Questa esigenza è l’avvio di un processo costituente a sinistra, la costruzione di uno spazio nuovo, nel quale ciascuno si senta di nuovo a casa e soprattutto riconquisti il diritto di pensare di potere tornare a vincere.

Questo processo non potrà passare attraverso l’ennesima sommatoria di sigle e, soprattutto, l’eterna riproposizione dei candidati a tutto (di partito e di movimento), specialmente alle sconfitte. Partirà da processi democratici, dalla riconnessione tra l’obiettivo e la pratica.

Abbiamo l’incoscienza ma anche forse la responsabilità di provare a metterci in cammino, sapendo che abbiamo tutti i limiti e la presunzione della nostra età, ma anche un po’ di sano entusiasmo in più, qualche cicatrice e qualche delusione in meno.

Una strada aperta a chiunque abbia l’ambizione di credere in un sogno. Per chi non si è mai arreso, nonostante tutto, e per chi comincia solo oggi un cammino di lotta: «È ragionevole, chiunque lo capisce».

*esseblog.it

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