Sinistra, la spinta e la resistenza
Sembra che il reddito di cittadinanza, sinora teorizzato da isolate avanguardie, abbia fatto finalmente il suo ingresso nel cuore del Palazzo. Non ci sono solo i parlamentari di Sel e […]
Sembra che il reddito di cittadinanza, sinora teorizzato da isolate avanguardie, abbia fatto finalmente il suo ingresso nel cuore del Palazzo. Non ci sono solo i parlamentari di Sel e […]
Sembra che il reddito di cittadinanza, sinora teorizzato da isolate avanguardie, abbia fatto finalmente il suo ingresso nel cuore del Palazzo. Non ci sono solo i parlamentari di Sel e del movimento 5 Stelle, ma anche esponenti del Pd, il partito al governo, a mostrare qualche interesse (vedremo quanto concreto) nella discussione della commissione del Senato.
Duole dirlo, ma, a differenza dei 5Stelle, la nostra sinistra (quella alla quale io appartengo) non appare altrettanto capace di determinazione nel perseguire un singolo, ma grande obiettivo e non sa inventarsi forme di lotta diverse dalle vecchie, troppo rituali, sfilate in piazza.
La scarsa determinazione nel perseguire l’obiettivo non è solo dovuta a inerzia politico-organizzativa. A sinistra e soprattutto all’interno del sindacato, covano riserve tenaci nei confronti di questa misura assistenziale. E’ la vecchia etica del lavoro, così radicata nel mondo comunista, introiettata da secoli di ideologia capitalistica, certo trasformata col tempo dalle lotte di classe, un nuovo ethos civile che ha fatto del movimento operaio l’avanguardia sociale del Novecento. Ma oggi che tipo di capitalismo abbiamo di fronte?
In questa fase il sindacato e la sinistra tradizionale sembrano interpretare la società industriale come un nastro, una pellicola che si riavvolge dopo uno strappo.
Sembrano non vedere la gigantesca metamorfosi che ha cambiato la natura del capitalismo contemporaneo. Un modo di produzione che da tempo ha sparigliato le carte, imposto un nuovo gioco. E il cuore del nuovo gioco è la scomparsa della piena occupazione, obiettivo keynesiano messo da parte come un ferrovecchio da un ceto politico- oggi il Pd di Renzi – che ha capito quali servigi chiede il capitalismo finanziario per elargire i suoi favori. Ma, insieme alla scomparsa della piena occupazione, quale orizzonte di una politica possibile, si è schiusa un’altra dirompente novità. Per paradossale che possa sembrare, oggi la fasce d’età della vita lavorativa, si vanno visibilmente restringendo. Si entra sempre più tardi nel mondo del lavoro. Spesso i giovani sono spinti a continuare gli studi perché non trovano occupazione e continuano a gravare sui redditi familiari. Al tempo stesso, si esce dal lavoro molto prima di un tempo. E’ vero che le riforma Fornero e le altre riforme pensionistiche in Europa tendono ad allungare la permanenza nel lavoro, ma gli imprenditori hanno altre vedute.
Questo restringimento dell’età lavorativa in Italia ha almeno due gravi esiti. I giovani (almeno la maggioranza più fortunata) cercano protezione nel guscio della famiglia, rattrappendo aspirazioni e prospettive. Coloro che non ce l’hanno o non si accontentano, si rivolgono al welfare criminale. E’ dunque auspicabile che sia lo Stato a fornir loro un reddito, guastando l’etica capitalistica del lavoro, o preferiamo – come sempre più per tutto il resto, la scuola, la sanità, i trasporti – affidarci al mercato? Un mercato criminale, naturalmente, fra i più efficienti della Penisola. Stiamo perdendo le migliori intelligenze della presente generazione, che scappano nei grandi centri d’Europa e degli Usa mentre il presidente del Consiglio e il suo governo ingannano gli italiani con le fumisterie della cosiddetta “buona scuola”.
Così come è tragica la condizione degli anziani che perdono il lavoro e non hanno ancora la pensione. Queste figure, che la riforma Fornero ha fatto ingigantire, facendone le vittime sacrificali di una riforma ispirata dal panico e da una cultura produttivistica, non hanno nessuna famiglia a cui appoggiarsi. Quella famiglia in genere debbono reggerla coi loro magri redditi.
Il reddito minimo toglierebbe dalla disperazione tante persone che hanno decenni di fatiche alle spalle e un futuro di incertezza. Aumenterebbe la domanda interna, di cui l’economia italiana ha un evidente bisogno. Costituirebbe la strada per ridurre le disuguaglianze sociali, offrirebbe a tanti nostri giovani un punto di partenza per intraprendere, studiare, continuare ricerche avviate.
Un reddito minimo potrebbe creare quel margine di sicurezza in grado di spingere tanti nostri ragazzi a fare volontariato: volontariato di assistenza alle persone, di cura del decoro urbano, di difesa dell’ambiente e del paesaggio, di assistenza ai bambini e ai ragazzi che abbandonano la scuola. Tutto dipende dal clima che si respira nel paese, se è di lealtà tra governanti e governati, di esaltazione e difesa del bene comune. Tutto dipende dalla creatività della politica, che deve uscire dalla routine impiegatizia che l’affligge, e deve saper suscitare le energie latenti della nostra società, in attesa di un messaggio di verità e di prospettiva.
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