Editoriale

Solo il 3% alle alluvioni, il resto è una grande opera

Sblocca Italia Negli ultimi venti anni si sono alterate le regole del gioco economico e della trasparenza in favore della discrezionalità. Il governo Renzi si muove sulle stesse orme

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 14 ottobre 2014

Colto in flagrante sull’impostazione dello Sblocca Italia che stanzia 110 milioni per la difesa idrogeologica (comma 8 dell’art. 7) e 3.890 milioni per i cementificatori e asfaltatori d’Italia (comma 1 dell’art. 3), il primo ministro Renzi ha richiamato su Facebook i pilastri del suo disegno di riforma del paese: «Si chiamano Sbloccaitalia, riforma della P.A., riforma costituzionale, riforma della giustizia, cantieri dell’unità di missione le priorità per l’Italia che vogliamo». In questo modo si è dato la zappa sui piedi perché le cifre sono quelle che abbiamo riportato: alla salvaguardia dalle alluvioni vengono destinate risorse pari al 3% di quanto si regala alle consorterie delle grandi opere.

«Userò la stessa determinazione per spazzare via il fango della mala burocrazia», ha poi affermato Renzi. Dietro questa frase c’è la filosofia che ha ispirato lo Sblocca Italia con la cancellazione di regole e controlli. È una cura fallimentare: i ricorsi contro gli appalti per la riduzione del rischio idrogeologico di Genova non sono stati infatti presentati da «comitatini o professoroni». L’impresa che si è vista sfuggire l’appalto è infatti di proprietà di una tra le maggiori imprese di Genova. E se un imprenditore arriva a denunciare una gara è perché a furia di semplificare, gli appalti in Italia vengono assegnati nella più assoluta discrezionalità da parte della politica. Per importi fino a 500 mila euro è sufficiente una gara informale ed è evidente che un sindaco può far vincere chi vuole. Negli ultimi venti anni si sono alterate le regole del gioco economico e della trasparenza in favore della discrezionalità.

Del resto, è stato proprio Renzi che – in seguito agli scandali che hanno fatto emergere la facilità con cui i privati potevano agire in piena discrezionalità e rubare cifre gigantesche nella realizzazione delle grandi opere – ha nominato uno straordinario magistrato come Raffaele Cantone a capo della Civit, l’autorità nazionale anticorruzione, e commissario alla realizzazione dell’Expo 2015. Il governo “commissaria” le grandi opere per ricostruire le regole e con lo Sblocca Italia estende il modello discrezionale a tutte le opere pubbliche. Non c’è chi non comprenda la follia di questa prospettiva.

La tragedia di Genova dimostra che lo Stato dovrebbe concentrare tutte le risorse nell’opera di risanamento idrogeologico del paese. Dall’inizio del 2014 le grandi alluvioni sono state 10, hanno causato 11 morti e immense devastazioni. Se il governo avesse a cuore il destino dell’Italia dovrebbe cambiare agenda e impiegare tutte le intelligenze che abbiamo in campo tecnico per l’immensa opera di risanamento idraulico e geologico di un paese che sta franando sotto i colpi del cambiamento climatico.

In questo campo, la fretta e la semplificazione non sono le migliori consigliere. Nel campo idrogeologico è necessaria una visione di lungo periodo per ricostruire l’equilibrio del territorio, così come era previsto nella legge sulla difesa del suolo (183/89) che imponeva di fare i piani di bacino idrografico in Italia. È stata la politica a non volerla attuare, la difesa del suolo è stata sconfitta dai cementificatori e per questo le nostre città sono spazzate via dalla furia delle acque. Altro che burocrazia.

Franco Gabrielli, capo della protezione civile, conosce per il ruolo che svolge l’insostenibilità dello stato del territorio: qualche mese fa, dopo l’ennesima alluvione, aveva azzardato l’ipotesi della moratoria del cemento per rimettere in ordine l’ambiente. Se Renzi vuole davvero cambiare verso al paese lo nomini ministro per la Cura del Territorio e licenzi Maurizio Lupi, il convinto amico del cemento.

E infine le risorse. Per uscire dalla miseria dei 110 milioni previsti nello sblocca Italia (solo per riparare i danni di Genova ne dovremo spendere 400) il primo ministro ha azzardato che utilizzerà al più presto i 2 miliardi per la difesa del territorio non spesi «per colpa della burocrazia». Non è vero, ma non fa nulla: per cambiare verso stanzi davvero cifre pari a quelle che regala alle grandi opere. Con i 4 miliardi previsti per i tanti inutili Mose, si potrebbe riportare in pochi anni la sicurezza nel territorio italiano. È l’ultima occasione per salvare l’Italia dal fango che la sta sommergendo.

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