Sotto le ceneri della legislatura
Patadrag Nulla nel marasma andato in scena, in diretta tv, può riferirsi a una normale dialettica politica. Non perché non siano state rispettate le formule della democrazia parlamentare, ma perché l’ultimo fotogramma della crisi immortala il progressivo spappolamento e avvitamento del nostro sistema politico
Patadrag Nulla nel marasma andato in scena, in diretta tv, può riferirsi a una normale dialettica politica. Non perché non siano state rispettate le formule della democrazia parlamentare, ma perché l’ultimo fotogramma della crisi immortala il progressivo spappolamento e avvitamento del nostro sistema politico
Con l’uscita di scena della terza maggioranza di governo della legislatura, l’Italia corre verso le urne più per caso che per scelta. Il paese rotola verso il voto con l’imbarazzante spettacolo finale del non voto di 5Stelle, Lega e Forza Italia alla mozione di fiducia posta da Draghi in Senato (formalmente ottenuta con 95 sì e soli 38 no). Si chiude una crisi di governo e inizia una campagna elettorale senza rete dentro la tragica escalation bellica e le gravissime emergenze sociali.
Nulla nel marasma andato in scena, in diretta tv, può riferirsi a una normale dialettica politica. Non perché non siano state rispettate le formule della democrazia parlamentare, ma perché l’ultimo fotogramma della crisi immortala il progressivo spappolamento e avvitamento del nostro sistema politico. Di cui Draghi è, nello stesso tempo, causa e effetto, catapultato dal Capo dello Stato alla guida di un governo tecnico-politico, una volta tolta di mezzo, con manovre poco trasparenti, la traballante maggioranza giallorossa di Giuseppe Conte.
Con un discorso molto duro, e una replica ancor più tagliente, sia verso i pentastellati (che gli hanno tolto la fiducia) che nei confronti degli ultimatum della Lega (su evasione fiscale, catasto, balneari…), il Presidente del consiglio si è rivolto al Parlamento e al Paese per spiegare le ragioni delle dimissioni: «Chi non si è mai presentato davanti agli elettori deve avere dal Parlamento il più ampio consenso», quindi le dimissioni «erano dovute», spiega Draghi. Che lascia le aule parlamentari con una sorta di sfuriata populista.
Le richieste di Mattarella e «la mobilitazione del paese di questi giorni, senza precedenti, impossibile da ignorare, mi hanno indotto a sottoporre il patto di governo al vostro voto». Curioso che a reagire con veemenza sia stata una populista doc come la leader di Fratelli d’Italia, proprio lei, pronta a gridare contro «la pericolosa deriva autocratica». L’estrema destra di Meloni può cantare vittoria, guiderà le piazze elettorali con lo sguardo fisso su palazzo Chigi.
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