Sulle orme del Mago
In movimento Maurizio «Manolo» Zanolla, detto «il Mago» per la sua capacità di arrampicare come nessun altro, racconta la sua vita fuori e contro le regole nel bel libro «Eravamo immortali»
Scrivere un libro può cambiare la vita. L’ultimo a capirlo è stato Manolo, al secolo Maurizio Zanolla, un mito dell’arrampicata moderna in Italia e non solo.
Nato a Feltre, in Veneto, ma residente in Trentino (tra la casa dov’è nato e quella dove vive oggi c’è meno di un’ora di viaggio), fa parte di un gruppo di ragazzi che trent’anni fa ha cambiato la storia.
Grazie a lui, Heinz Mariacher, Luisa Jovane, Enzo Cozzolino, Heinz Zak, e magari al romano Pierluigi Bini, il sesto grado ha lasciato il posto all’ottavo e al nono. Grazie a loro, la statica arrampicata in scarponi ha lasciato il posto a una danza verticale con ai piedi scarpe da tennis o ballerine.
Per la sua capacità di risolvere con movimenti impensati dei passaggi straordinariamente difficili, Maurizio alias Manolo si è meritato un altro soprannome, quello usato dai suoi amici, il Mago.
IL RAGAZZO DI FELTRE è arrivato a diciassette anni alla roccia dopo anni di atletica leggera e ginnastica («vincevo premi, non me ne importava nulla»), e si è subito sentito a casa. «Ho capito che ero fatto per scalare, ho imparato la tecnica. Un giorno mi sono tolto gli scarponi, ho provato con le scarpe da ginnastica. E mi si è aperto davanti il futuro».
Negli anni, Manolo ha percorso le pareti più famose del mondo, dal granito californiano di Yosemite al calcare dell’Aguglia in Sardegna e dell’isola greca di Kalymnos. Negli anni Ottanta hanno fatto scalpore le sue foto mentre arrampicava, solo e senza corda, su campanili e torri medievali di mezza Italia.
L’ELENCO DELLE SUE VIE più importanti, invece, non dice molto al profano. Sulle Pale di San Martino, le sue montagne di casa, hanno fatto storia itinerari di settimo e ottavo grado come Supermatita al Sass Maòr e la Via dei Piazaròi alla Cima della Madonna.
Il Mattino dei Maghi sul Totoga, la parete affacciata sul Primiero che è stata per anni una sorta di palestra privata per Manolo, non è mai stata ripetuta da altri. Idem per Cani morti, decimo grado, aperta nel 2003 sulle Pale.
Poi, uno dopo l’altro, sono passati i decenni. E Manolo ha continuato a stupire. Nel 2013, a 55 anni, l’eterno ragazzo delle Pale ha liberato sulle rocce delle Vette Feltrine una via di 9a, decimo grado. Tre anni dopo, nel 2016, è tornato su Il Mattino dei Maghi, per scoprire che doveva «complimentarsi con il Manolo del 1981».
Celebre per le sue solitarie, e per le sue vie dove un volo può essere mortale anche se si è legati a una corda, Manolo non si è mai fatto male in parete, ma è stato spesso vittima di incidenti banali. «Sono stato bloccato per mesi dopo una caduta su una lastra di ghiaccio davanti a casa. Ho rischiato di uccidermi volando fuori da una stradina in mountain-bike».
OGGI, A SESSANT’ANNI compiuti da poco, confessa di avere dolori «alle mani, alle braccia, alle spalle, ai gomiti». La colpa non è di un incidente in parete, ma «dei mille lavori che ci sono da fare qui in casa, da tagliare la legna alle piccole riparazioni». «Non so stare fermo», conclude.
Nella vita di Maurizio Zanolla, la pressione dei media c’è da sempre. E da sempre però lui l’ha tenuta sotto controllo.
DALLE FOTO DI ARRAMPICATA sulle pagine patinate di No Limits è passato all’intervista, cliccatissima su You Tube, con Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche. Nel salotto de La 7, come in altre chiacchierate, Manolo ha raccontato la sua passione per le Dolomiti, «straordinarie irregolarità» del pianeta.
La sua gioia di vivere in montagna, dove «ogni giorno posso decidere se camminare in un bosco, arrampicare o sciare». Il piacere per una vita che gli consente di stare accanto ai suoi figli Nicolò e Alice, mentre »mio padre andava a lavorare in Svizzera, l’ho conosciuto poco e mi dispiace».
Verticalmente demodé, il film-documentario dedicato a una durissima arrampicata di Manolo, girato dal torinese Davide Carrari, ha trionfato nel 2012 al Festival di Trento, il più importante del settore, e in altre rassegne dedicate alla montagna. È stato un premio alla carriera di Manolo, certamente. Ma la sua vita e le sue invenzioni continuano.
IL PROSSIMO 8 LUGLIO, davanti al rifugio Rosetta, sulle Pale, il ragazzo di Feltre si esibirà in un «Concerto per rocce, violoncello e alpinista narrante» insieme a Mario Brunello, uno dei violoncellisti più famosi del mondo. Oltre alle sue riflessioni, leggerà brani di Francesco Petrarca e Pier Paolo Pasolini.
E poi, al momento giusto, è arrivato anche il libro. Manolo ci pensava da anni, qualche firma del giornalismo di montagna gli ha proposto di scriverlo a due mani. Invece no. «Tra l’autunno e l’inverno mi sono chiuso in casa e ce l’ho fatta» racconta con un sorriso soddisfatto.
«ERAVAMO IMMORTALI» (Fabbri, 414 pagine, 20 euro) è stato stampato ad aprile, è entrato nelle classifiche e nelle librerie di tutta Italia, costringe il suo autore a un tour de force di presentazioni e conferenze. «Un po’ mi pesa, ma me la sono cercata», racconta.
Il libro, scritto con serietà e leggerezza, non racconta tutta la vita e tutte le scalate di Manolo. «Sessant’anni sono tanti, rischiavo di annoiare i lettori. Mi sono concentrato sul periodo più importante, quello in cui la scoperta della roccia mi ha liberato dal bar, dalla strada, da un lavoro in fabbrica che non mi sarebbe piaciuto».
Soprattutto, Eravamo immortali ha consentito all’autore di fare i conti con la propria storia. «Ho raccontato una piccola rivoluzione, la mia, che ha fatto parte di una rivoluzione più grande. Ho raccontato di quando la mia bravura in parete mi ha fatto capire che era il momento di fermarmi. E di quando quel limite l’ho passato, e solo un culo gigantesco mi ha permesso di tornare indietro vivo».
Nella vita di Maurizio Zanolla/Manolo, il rapporto con gli altri piazaròi, gli amici della piazza di Feltre e del bar, è sempre stato importante.
«Abbiamo capito subito, tutti, che essere nati nella parte sbagliata della società, quella povera, era una condanna a superarci o a morire. Qualcuno ci è riuscito. Io arrampico, uno fa il pilota di elicottero, un altro è un imprenditore affermato».
POI LA VOCE DI MANOLO si incrina. «Altri miei amici di quegli anni non ce l’hanno fatta. Qualcuno ha ceduto alla droga, qualcuno è morto di cirrosi epatica o in incidenti stradali, qualcuno si è rovinato la vita con episodi di microcriminalità ridicola. Mettere da parte la propria vanità è difficile, e non ci sono sempre riuscito. Ma una lezione l’ho avuta. Ho imparato a non giudicare mai, nessuno».
Errata Corrige
Per un refuso, nel manifesto in edicola il 1 luglio il libro “Eravamo immortali” è stato attribuito alla casa editrice Rizzoli, mentre invece è edito da Fabbri Editori. Ci scusiamo con l’autore, la casa editrice e con i lettori.
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