La tempesta italiana
Dalle urne elettorali ai forconi in piazza. L’anno che stasera viene digerito con il tradizionale cenone può ben essere condensato in questo simbolico testacoda degli umori e degli avvenimenti che […]
Dalle urne elettorali ai forconi in piazza. L’anno che stasera viene digerito con il tradizionale cenone può ben essere condensato in questo simbolico testacoda degli umori e degli avvenimenti che […]
Dalle urne elettorali ai forconi in piazza. L’anno che stasera viene digerito con il tradizionale cenone può ben essere condensato in questo simbolico testacoda degli umori e degli avvenimenti che hanno coinvolto i cittadini italiani.
Prima il rito democratico con annessa speranza di un’alternativa di governo. Poi l’urlo qualunquista del “tutti a casa” rivolto al Parlamento, emblema di un sistema incapace di reagire alla crisi della democrazia rappresentativa. In mezzo il grande stravolgimento del Pd, l’esplosione del vulcano grillino, la decadenza e la frammentazione della coreografia berlusconiana.
Probabilmente, giunti al quinto anno della crisi economica, sarebbe stato difficile realizzare finalmente un vero cambiamento, culturale, politico, economico. Ma si è esagerato in senso contrario e siamo andati a passi veloci verso situazioni senza uscita, al punto di non essere in grado di eleggere un presidente della Repubblica nuovo e di non trovare alternative al governo di larghe e poi piccole intese.
Un “indietro tutta” generale. Non solo politicamente. Socialmente è stato ben riassunto da una coppia di “capitani coraggiosi” del sistema industriale italiano, Marchionne e Riva. Con gli operai Fiom confinati nei reparti Fiat e gli abitanti di una città del sud avvelenati dal feudatario dell’acciaieria. Due volti del declassamento nazionale, sia verso i diritti dei lavoratori sia come esempio di arretratezza del nostro modello di sviluppo.
E poi un indietro tutta per il livello dei consumi alimentari, un inedito e drammatico elenco di suicidi tra i nuovi poveri, una corsa sfrenata al record di disoccupazione – giovani e donne soprattutto – un primato assoluto per il trattamento disumano riservato alla popolazione carceraria e alla gente immigrata e rifugiata, una vergognosa e indecente evasione fiscale, un impoverimento globale delle famiglie, un territorio ecologicamente devastato, un debito pubblico pesante come un macigno, una società frammentata, divisa, egoista…Difficile trovare un paese con un medagliere così penoso e umiliante.
Certo, il corruttore della politica italiana dell’ultimo ventennio è stato cacciato dal Parlamento, è fuori dalle istituzioni, interdetto dai pubblici uffici. Ma la sua eredità, soprattutto quella dei recenti otto anni su dieci, è devastante sotto il profilo economico, politico, sociale. Quanto è avvenuto tra il 2012 e l’anno che si sta chiudendo (ministero Monti prima, elezioni poi, governo Letta-Alfano ora) non sono che la conseguenza di una tragi-commedia che ha come primi responsabili Berlusconi e poi i partiti che hanno guidato il paese dagli anni Novanta del secolo scorso ad oggi.
E’ vero, le piazze, si sono riempite di gente che ancora reagisce al malgoverno, che ancora mostra un desiderio di partecipazione. Anche nelle forme e nei soggetti nuovi come nella manifestazione del 15 ottobre. È vero, l’esplosione del grillismo contiene in sé elementi interessanti e nuovi, che sicuramente sarebbero spendibili con maggior profitto se non ci fosse un padre-padrone che detta legge e usa il web come una gogna mediatica. È vero, la vittoria a valanga di Renzi dimostra che nel Pd c’è un forte desiderio di voltar pagina e di mandare a casa un vecchio gruppo dirigente largamente, proditoriamente consociativo.
Ma è altrettanto vasta e profonda l’Italia che ha smesso di credere nella possibilità di cambiare le cose collettivamente e vorrebbe tanto affidarsi all’uomo forte capace di togliere di mezzo gli immigrati che “rubano il lavoro”, di dare mano libera agli imprenditori per usare il lavoro come una merce, di ritirare l’Italia dall’Europa dei banchieri. Un insieme di ingredienti per ricette che purtroppo nel Novecento ha prodotto immani disastri. C’è anche questo nell’aria mentre ci avviciniamo alle elezioni europee.
Sarà un test politico che dirà quanto sono distanti le due sponde del Mediterraneo, quanto saranno forti le correnti isolazioniste, sovraniste, xenofobe del vecchio Continente. Un specchio che rifletterà il grande travaglio di quei paesi che le primavere arabe avevano riacceso di movimenti laici e democratici. Il 2013 è stato un lungo inverno di sangue per gli egiziani, per i tunisini, l’anno della guerra africana guidata dal socialista Hollande.
Dicono che questa crisi lascia le macerie di un dopoguerra. Di sicuro la nostra democrazia non gode di buona salute e in tanti ci stanno promettendo la cura decisiva della riforma elettorale e di nuove elezioni. Una nuova legge elettorale è necessaria, e prima andiamo a votare e meglio è. Ma né l’una, né le altre ci regaleranno la sinistra che non c’è.
Per tornare al centro della scena, per offrire proposte convincenti, la sinistra ha bisogno di proseguire il cammino sulla via maestra indicata il 12 ottobre da Landini e Rodotà nella piazza della democrazia costituzionale, nella prospettiva di una “coalizione sociale”. Il segretario Fiom fa bene a vedere le carte del nuovo “capo” del Pd, a chiedere cosa c’è dietro la sua proposta di un contratto nazionale contro la precarietà. Mettere in chiaro i contenuti è il percorso da compiere per capire se siamo di fronte a manovre politiche di palazzo, a rispettabili strategie congressuali (rottamare il gruppo dirigente della Cgil dopo quello del Pd), o a uno snodo strategico degli assetti politici, anche a sinistra.
Intanto stasera il capo dello stato pronuncerà il suo ottavo discorso a reti unificate, mentre sugli schermi della Rete un ex comico lo contrasterà con la richiesta di un impeachment, impraticabile secondo Costituzione, ma ugualmente efficace nella piazza virtuale. Napolitano replicherà le sue ricette anche se non hanno prodotto gli effetti promessi. E Grillo continuerà a tirare la corda dell’esasperazione populista. I sondaggi dicono che sia l’uno che l’altro perdono consensi, anche se conquista punti l’idea dell’elezione diretta di un super-presidente.
Nelle prossime settimane vedremo e capiremo meglio. Però nonostante il nero quadro di quest’anno tempestoso, continueremo a lavorare per un 2014 di cambiamento o di passaggio verso il cambiamento. Sarà un anno molto importante anche per noi del manifesto. Facciamo i migliori auguri a voi che ci leggete e ci sostenete e anche a noi.
Il prossimo anno potrà essere davvero nuovo per la nostra storia.
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