Terzi, meteora pericolosa
«La mia voce è rimasta inascoltata»: in tono enfatico-accusatorio Giulio Terzi ieri ha dato le dimissioni in parlamento. Esplicito il disaccordo con il governo sulla decisione di far rientrare in […]
«La mia voce è rimasta inascoltata»: in tono enfatico-accusatorio Giulio Terzi ieri ha dato le dimissioni in parlamento. Esplicito il disaccordo con il governo sulla decisione di far rientrare in […]
«La mia voce è rimasta inascoltata»: in tono enfatico-accusatorio Giulio Terzi ieri ha dato le dimissioni in parlamento. Esplicito il disaccordo con il governo sulla decisione di far rientrare in India i due militari italiani accusati dell’omicidio di due pescatori del Kerala, come pattuito in precedenza dallo stesso governo. Dimissioni tardive. Adesso «sono low cost», lo ha accusato Di Paola, il sodale ministro della difesa (quello degli F35) che non si dimette. Suonano come un ricatto a destra, a difenderlo c’è l’ex ministro della difesa La Russa vero responsabile della vicenda dei due marò, fautore della legge del 2011 che istituiva la guardia armata dell’esercito in funzione anti-pirati sui mercantili privati.
Sorprende lo strano protagonismo inascoltato del ministro “tecnico” – degno erede del vuoto subalterno dell’ex Frattini – compartecipe degli onori montiani della guerra allo spread in Europa, per ritrovarsi ultrà nel pantano di avventure e guerre, ereditate e sostenute ad ogni costo.
Comunque, dopo la vicenda indiana e dopo il suo quasi anno e mezzo di “vuoto alla Farnesina”, difficile pensare ad una qualche investitura futura. Facile invece immaginare che diventi il capro espiatorio del governo dei tecnici, che pure aveva sostegno bipartisan sugli esteri e su ogni guerra “democratica”. Terzi infatti è stato una meteora pericolosa, ma nel buco nero della politica estera italiana che non compare nemmeno (fatta eccezione per Europa ed euro) nei famosi punti delle consultazioni in corso per il nuovo governo. Così il ministro dimissionario di un governo dimissionario, nel vuoto generale si è più volte arrogato il diritto di rappresentare l’Italia senza una discussione reale del parlamento. In una sequenza davvero spaventosa.
A fine novembre 2012 l’Anp di Abu Mazen presenta all’Onu la candidatura di stato “osservatore”. L’Italia alla fine voterà a favore, distinguendosi dagli Stati uniti che votano contro. Sarà una sorpresa: perché Terzi, filoatlantico d’acciaio, è tutt’altro che favorevole. Ma la sua voce fortunatamente non viene ascoltata. E’ stato uno scontro duro, del quale il parlamento non ha saputo nulla. Anche perché Terzi, ambasciatore all’Onu dal 2008-2009, conosceva il Medio Oriente per essere stato ambasciatore in Israele dal 2002 al 2004. Periodo nel quale preparò la “riconciliante” visita nello stato ebraico del post-fascista Gianfranco Fini, allora ministro degli esteri e berlusconiano di ferro. Quando la diplomazia è al servizio di un partito invece che della pace!
A metà gennaio 2013 Terzi schiera l’Italia a fianco dell’avventuroso intervento militare francese in Mali. «Un paese come l’Italia – dichiara – impegnato nella lotta al terrorismo, ma anche alla stabilità del Sahel, non può non essere parte di questa operazione». Inviamo addestratori, logistica e aerei da rifornimento.
In vista di un intervento più massiccio per «evitare – dichiara Terzi – che la crisi diventi peggiore di Somalia e Afghanistan». La destra berlusconiana approva, ma dice di sì anche il Pd. Entrambi senza riflettere sul recente disastro libico e sui contraccolpi in Africa per gli interessi italiani. Che arrivano puntuali, in Nigeria. Dove il 10 marzo scorso l’ingegnere Silvano Trevisan e i suoi sei colleghi rapiti il 16 febbraio, vengono uccisi dal gruppo Ansaru, costola di Boko Haram, per ritorsione ad una vasta operazione di rastrellamento militare nell’area contro i jihadisti e mentre i giornali nigeriani annunciano l’arrivo di cinque cacciabombardieri, mezzi, uomini e intelligence nell’area del rapimento.
Arriva l’”assicurazione” di Londra che quelle forze servivano per la vicina guerra in Mali. Anche stavolta l’Italia, assente, ha prontamente dichiarato di non essere stata informata e si è costernata con il presidente della repubblica. E il parlamento ha taciuto.
Solo un mese fa, a fine febbraio, l’Italia ha ospitato a Roma il vertice degli “Amici della Siria”, l’organismo che con il Qatar, l’Arabia saudita, l’atlantica Turchia e gli Stati uniti, dall’aprile del 2012, lo stesso periodo della decisione dell’Onu di mediare con un inviato nella sanguinosa crisi, ha deciso una strategia “libica”, vale a dire lo stanziamento di armi, consiglieri militari e centinaia di milioni di dollari per sostenere il fronte degli insorti armati (che vanno da quelli legati ai Fratelli musulmani, agli jihadisti fino ai qaedisti).
Terzi ha portato l’adesione dell’Italia. Ma chi glielo ha chiesto? Quale parlamento ne ha mai discusso? Non è bastato il disastro della guerra in Libia – dopo il sostegno a Gheddafi, i bombardamenti italiani a favore degli insorti – del quale ancora paghiamo le conseguenze – con le forniture di gas spesso interrotte per i combattimenti in corso tra le milizie -in buona compagnia con gli Usa per l’affaire Bengasi?
Poi, dulcis in fundo, l’affaire dei due marò. Ma la misura era da tempo colma.
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