Alias
«Trumps like us», il mondo in crisi di Bruce Springsteen
Idee/Gli operai bianchi cantati dal boss votano per il milionario. Ha ancora senso raccontare una comunità che forse ha smesso di esistere? La traduzione nella vita reale di tanti pezzi dell’artista non diventa lotta di classe, ma si trasforma in risentimento verso un sistema immobile che guarda altrove
Bruce Springsteen dinanzi al Jenny, un altoforno dismesso di Youngstown, Ohio (1996, foto Robert Hilburn/Los Angeles Times)
Idee/Gli operai bianchi cantati dal boss votano per il milionario. Ha ancora senso raccontare una comunità che forse ha smesso di esistere? La traduzione nella vita reale di tanti pezzi dell’artista non diventa lotta di classe, ma si trasforma in risentimento verso un sistema immobile che guarda altrove
Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 19 novembre 2016
«Ora, mi dici che il mondo è cambiato. Ora che ti ho reso tanto ricco da dimenticare il mio nome» (da Youngstown sull’album The Ghost of Tom Joad). Era il 1995 quando Bruce Springsteen scriveva questi versi dando voce all’operaio di Youngstown, Ohio, rimasto senza lavoro a causa della globalizzazione e della delocalizzazione delle fabbriche della «Rust Belt», l’ex cuore pulsante dell’industria pesante statunitense. Quell’industria grazie alla quale «l’America ha vinto le sue guerre» ma che già negli ultimi decenni del secolo scorso non resse la concorrenza delle importazioni dai paesi in via di sviluppo: «…hanno fatto quello che non...