Editoriale

Un fuorilegge fuori tempo

Un anziano leader, nella cornice di una tv invecchiata con lui, chiuso nel doppiopetto d’ordinanza, costretto a replicare se stesso recitando alcuni slogan famosi contro i magistrati e i comunisti, […]

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 19 settembre 2013

Un anziano leader, nella cornice di una tv invecchiata con lui, chiuso nel doppiopetto d’ordinanza, costretto a replicare se stesso recitando alcuni slogan famosi contro i magistrati e i comunisti, sullo sfondo della solita libreria. L’assordante grancassa mediatica offerta in questi giorni dal mondo dell’informazione, come se, dopo vent’anni, si aspettasse il verbo della politica, il discorso decisivo, l’ultima parola, alla fine ha partorito un pezzo di tv-vintage (con tutto il rispetto per il vintage). Un Berlusconi imbalsamato nella parodia del berlusconismo, senza neppure regalarci il guizzo di un Crozza.
Naturalmente il ribaltamento della realtà, la manipolazione dei fatti è sempre un veleno attivo perché dentro il piccolo schermo c’è ancora l’Italia, c’è soprattutto l’audience del padrone. Quando Berlusconi parla di democrazia dimezzata e snocciola il rosario (stato, tasse, spesa) sa di suonare la musica che i suoi elettori vogliono ascoltare. Quando gioca la carta del perseguitato (dopo averla fatta franca per vent’anni con leggi cucite addosso ai suoi reati) sa di cantare il ritornello che i suoi adepti vogliono sentire.
Ma sa anche di aver perso sei milioni e mezzo di voti e difficilmente quei punti esclamativi sul tono di voce alterato («svegliamoci, ribelliamoci, indigniamoci, riprendiamo la bandiera di Forza Italia») serviranno a restituirglieli. Il suo sarà pure un elettorato moderato ma non così sprovveduto. La crisi ha aperto gli occhi anche a quelle «aziende», a quei «genitori» evocati nell’incipit del suo debole telecomizio.
Non è più tempo di escalation, il condannato è impotente, la recessione ha scavato un solco profondo tra l’imbonitore e il paese. Se non fosse intervenuto il Quirinale a stendere la rete delle larghe intese, a promuovere ministri i suoi scudieri, proprio quei ministri indicati da Berlusconi come la guardia pretoriana («fermeranno il bombardamento fiscale»), oggi sarebbe solo un senatore decaduto, un condannato in via definitiva e interdetto dai pubblici uffici.
Ma il patto di potere interpretato dal tandem Letta-Alfano, con mezzo governo in mano ai berlusconiani, può, invece, ancora consentirgli di ricattare tutto il paese. Come è già avvenuto con la pretesa di vedere realizzata una promessa elettorale del centrodestra (l’abolizione dell’Imu), come in queste ore sta avvenendo con l’opposizione muscolare degli arcoriani schierati contro la disperata ricerca di coperture (l’aumento dell’Iva) per far quadrare i conti del pubblici.
E tuttavia la sentenza prima e il voto della giunta del senato poi, segnano un passaggio storico, riportano la politica sui binari della legalità, stabiliscono che siamo stati governati da un politico fuorilegge. Speriamo che alle parole seguano i fatti, che lo abbia capito anche quel partito trasversale che ancora si preoccupa e dubita della fine ignominiosa di una parabola. Il duro commento del segretario del Pd è un buon segno.
Con la sua biografia Berlusconi ha travolto, insieme al paese, anche la credibilità residua delle istituzioni repubblicane. Con lo scampolo di dignità che resta, la classe politica può riscattarsi togliendo il disturbo con una buona legge elettorale. Per provare a cambiare copione.

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