Un sogno verticale
Tommy Caldwell e Kevin Jorgeson su El Cap – via Instagram
Sport

Un sogno verticale

Climbing A Yosemite è caduto l’ultimo muro dell’alpinismo. Gli americani Caldwell e Jorgeson completano il «Dawn Wall» (muro dell’alba), la via più difficile di El Capitan, 914 metri in 19 giorni. A mani nude
Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 16 gennaio 2015

Novecentoquattordici metri, centimetro dopo centimetro, senza mai toccare terra per 19 giorni. Abbracciandosi in cima alle lisce pareti di granito delle montagne di Yosemite (California), gli scalatori americani Tommy Caldwell (36 anni) e Kevin Jorgeson (30) hanno concluso mercoledì pomeriggio (notte fonda in Italia) una delle più grandi imprese dell’arrampicata moderna.

Tre settimane sul grande muro di El Capitan, nella prima ascesa completa della via Dawn Wall, appesi a tende volanti, attaccati alla roccia a centinaia di metri dalle sequoie della valle, salendo solo con la forza delle mani e la presa dei piedi.

Le mani di Jorgeson
Le mani di Jorgeson

Il free climbing (da non confondere con il free solo, che è l’arrampicata libera senza protezione) è il tipo di scalata più popolare, che usa le corde solo per evitare i danni (mortali) di eventuali cadute. Che nell’ascesa di Caldwell e Jorgeson sono state centinaia. Le «prese» che hanno dovuto afferrare erano affilate come rasoi, larghe pochi millimetri, capaci di lasciare profonde cicatrici sulle mani, che li hanno costretti a lunghe pause tra un tentativo e l’altro.

A Yosemite, con il bel tempo, l’inverno è la condizione migliore per scalare El Cap: «Fa freddo, è ventoso, ma il clima è super secco», racconta Caldwell in una delle tante chat sui social network di questa avventura. In parete, infatti, la copertura cellulare si è rivelata ottima (fino al 4G), e così Caldwell e Jorgeson hanno potuto telefonare a casa, postare immagini e video su facebook e instagram, fare videochiamate alle fidanzate e perfino guardare film in streaming su Netflix nelle lunghe notti passate in mini lettighe attaccate con i chiodi alla roccia e issate in alto lungo le varie tappe (i «tiri», o pitch) della scalata. Le batterie ricaricate da pannelli solari, acqua, cibo e rifiuti portati dallo staff a terra.

La via interattiva sul sito del New York Times

I due scalatori sono saliti a mani nude su un’altezza pari a 8 volte il Pirellone o san Pietro. Per evitare il caldo, che porta più fatica e più sudore (scivoloso sulle mani e dunque pericoloso) i due alpinisti hanno sempre arrampicato all’ombra, o al tramonto, molto spesso perfino di notte, alla luce dei «frontalini». Come un lento allunaggio in diretta tv, ogni istante della loro impresa è stato seguito giorno per giorno dagli alpinisti di tutto il mondo, documentato via Internet in tempo reale da due fotoreporter (che hanno vissuto al loro fianco) o da loro stessi sulle proprie pagine facebook (qui e qui).

È difficile per una persona comune comprendere le difficoltà atletiche e mentali di un’impresa del genere. Vivere in un paio di metri quadrati di tela, seduti con i piedi nel vuoto e verticali mura di granito tutto intorno per settimane è una condizione fisica difficilmente ripetibile anche per uno scalatore esperto. I «big wall», le scalate che durano interi giorni su lunghe pareti, non sono così frequenti in Europa, ma fanno parte della storia dell’alpinismo americano fin dagli anni ’50.

La via più famosa per salire sui 2.148 metri di El Cap è The Nose (il naso), aperta per la prima volta nel 1958 da Warren Harding in 47 giorni di scalata complessiva, per 17 mesi di fatica e sudore. Da allora, Yosemite è diventato un luogo simbolo per l’alpinismo mondiale, meta di pellegrinaggio per qualunque scalatore degno di questo nome.

Ma il «Dawn Wall» è considerata la via più lunga e più tosta del mondo. Dal 1970 a oggi nessuno è riuscito nell’impresa di Caldwell e Jorgeson.

Guarda il video del tiro 15, uno dei più difficili della via (5.14c/8c+)

Caldwell ha iniziato a sognarla nel 2007. Solo trovare esattamente la possibile «via» verso la vetta ha richiesto due anni di esplorazioni della parete. E tutti i 31 «tiri» della via sono stati poi preparati e percorsi (uno per volta singolarmente) in un lavoro durissimo durato altri cinque anni. I tiri più impegnativi al centro della parete (fino all’8c+/9a della nostra scala francese, il massimo) sono in orizzontale (in «traverso») e uno di questi finisce con un «lancio» in aria dinamico di quasi due metri fino a una presa piccolissima che può essere considerato la «chiave» della via. Inutile aggiungere molto altro sulle difficoltà sportive di questa vera impresa.

Le parole migliori le hanno dette gli stessi protagonisti in un’intervista esclusiva al New York Times: «Vorrei che questa salita aiuti le persone a capire che splendido sport sia l’arrampicata», dice Tommy Caldwell.

caldwell e jorgeson via twitter

«Credo che la maggior parte della gente pensi ancora che quello che cerchiamo sia l’adrenalina, ma non è così. La cosa più bella è vivere in questi luoghi fantastici e il legame che si crea tra noi, gli amici e le nostre famiglie. È uno stile di vita, è sano e il mondo dell’arrampicata è fatto di persone fantastiche. Se riuscissimo a trasmettere questa energia positiva sarebbe la cosa migliore che potremmo ricavare da quest’avventura».

«Spero che questa impresa aiuti chi l’ha seguita a trovare la propria Dawn Wall. Noi ci abbiamo lavorato a lungo, senza fretta e nel modo più sicuro possibile. Penso che ognuno di noi abbia la propria Dawn Wall da portare a termine e che ognuno possa, nel contesto in cui vive, pensare a un’idea così entusiasmante».

«La vera e propria spina dorsale del mondo: questo è El Capitan. Vecchio come l’universo, 1000 metri esposti come per il taglio del bisturi di un chirurgo! Sotto ai piedi di El Capitan tutto è congettura, speculazione scientifica e le limitate facoltà dell’uomo ne restano intimidite. Ciò che da sopra la valle appariva liscio come crema, lo vediamo ora segnato e spaccato dalla base alla cima con linee di fenditura verticali e aspre incisioni, come se qualche gigante gli avesse strappato la pelle e lasciato i tendini tremanti esposti [all’aria] ad indurire»Charles Quincy Turner, 1902

 

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