Una legge elettorale oltre le convenienze
Come al solito la politica interpreta secondo le proprie convenienze le dichiarazioni degli altri. Così, volendo perseguire la strada di una rapida approvazione della legge elettorale, si è voluto sottolineare […]
Come al solito la politica interpreta secondo le proprie convenienze le dichiarazioni degli altri. Così, volendo perseguire la strada di una rapida approvazione della legge elettorale, si è voluto sottolineare […]
Come al solito la politica interpreta secondo le proprie convenienze le dichiarazioni degli altri. Così, volendo perseguire la strada di una rapida approvazione della legge elettorale, si è voluto sottolineare la parte meno significativa della relazione del presidente della Corte costituzionale. È, infatti, del tutto evidente che non può essere la Consulta a scrivere la legge elettorale ed essa si è dunque «limitata a dichiarare costituzionalmente illegittime alcune norme» sottoposte al suo sindacato; pertanto, si può ben affermare che «l’arco delle scelte del legislatore (rimane) molto ampio».
Ciò non vuol dire però che il parlamento possa adottare qualsiasi nuovo sistema di elezione. Non è dunque vera la deduzione che si pretende di far derivare dalle parole di Gaetano Silvestri, secondo la quale egli avrebbe legittimato l’Italicum. Il presidente della Corte, infatti, ha ribadito che, in ogni caso, la nuova legge elettorale deve assicurare la necessaria rappresentanza alle diverse articolazioni della società. È possibile introdurre meccanismi di stabilizzazione dei governi, ma questi non possono essere sproporzionati, poiché rischiano di comprimere irragionevolmente alcuni principi costituzionali fondamentali quali l’eguaglianza del voto e lo stesso fondamento pluralistico, che sono caratteristiche costitutive della nostra democrazia. È tutto un problema di equilibri, dunque. L’intera relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2013 presentata ieri dal presidente della Consulta è attraversata dalla necessità di conservare gli equilibri costituzionali. Tant’è che molte tra le più rilevanti decisioni dei giudici costituzionali sono motivate dalla continua ricerca di preservare una logica di equilibrio tra istituzioni, tra poteri, tra diritti.
Se così è, il primo problema che dovrebbe porsi una classe politica consapevole è quello di garantire una corretta proporzione tra la ragione della stabilità e quella, costituzionalmente ineludibile, della rappresentanza. In concreto ciò vuol dire chiedersi se un premio assegnato alla lista o coalizione che raggiunge il 37% dei voti (ma in realtà anche meno, se al raggiungimento della soglia indicata dovessero contribuire anche partiti che non potranno poi partecipare alla distribuzione dei seggi, non avendo superato il 4,5%) possa conseguire la maggioranza assoluta dei seggi. Se non si fosse accecati dal pregiudizio credo che si dovrebbe riconoscere l’alterazione eccessiva di un simile meccanismo premiale.
È l’ossessione della governabilità che fa velo ad una più ragionevole valutazione. Lo scopo unico ed assorbente della nuova legge è stato esplicitamente dichiarato: bisogna garantire che la stessa sera delle elezioni si conosca chi dovrà governare per i successivi cinque anni. Ma quest’obbiettivo non può essere ottenuto se non a scapito della rappresentanza. Non dunque bilanciando o ricercando un equilibrio, bensì sacrificando, fin tanto che è necessario, il valore costituzionale del pluralismo sull’altare di una governabilità imposta oltre ogni possibile limite di adeguatezza. Forse prima di varare un nuovo meccanismo premiale con il rischio di incorrere in una seconda sentenza di incostituzionalità per irragionevolezza bisognerebbe fermarsi un attimo per pensare ad una soluzione più adeguata.
Anche per quanto riguarda le liste bloccate s’è fornita un’interpretazione di comodo delle esternazioni del presidente della Consulta. Vero è che – riprendendo quanto scritto nella sentenza sui sistemi elettorali – non sono ritenuti di per sé in contrasto con la nostra costituzione i diversi sistemi di presentazione delle liste (da quelli con preferenza a quelli uninominali, compresi i meccanismi bloccati di piccole dimensioni). Ma, anche in questo caso, con ciò non si è preteso di rendere immune da vizi di costituzionalità qualunque possibile criterio di composizione delle Camere. Rimangono espressamente esclusi, ad esempio, tutti quei sistemi che rendono difficilmente conoscibili i candidati ed impediscono il concorso dei cittadini alla scelta dei propri rappresentanti. È questo lo specifico criterio di valutazione che la Corte impone al legislatore.
C’è allora da chiedersi se il meccanismo formulato nel disegno di legge in discussione alla Camera rispetti questo principio. Vale a dire se è garantita la possibilità di conoscere i candidati che verranno poi scelti in base alle indicazioni degli elettori nei singoli collegi. In questo caso la risposta negativa (e dunque il rischio di incostituzionalità) è nascosta dietro un velo d’ipocrisia, ma non per questo è meno preoccupante. Si deve, infatti, costatare come, nel nostro caso, la lista bloccata che si presenta in ogni circoscrizione, con pochi nomi riconoscibili, non garantisce per nulla l’elettore, il quale, votando per quei candidati, può in realtà concorrere a eleggere tutt’altro esponente politico presentato in altra circoscrizione. Ciò grazie al riparto proporzionale dei seggi che viene effettuato a livello nazionale o pluricircoscrizionale. Da qui la non conoscibilità del candidato votato e il permanere di un sistema in cui la composizione delle Camere continua ad essere determinata dalle modalità di composizione delle liste e la loro distribuzione nel territorio, senza che l’elettore possa influire sulle scelte dei partiti. Da qui il rischio di una nuova dichiarazione di incostituzionalità della legge.
Il pericolo che corre l’intero sistema politico è enorme. Rifiutandosi di affrontare con serietà le questioni di fondo poste dalla Corte costituzionale e scritte a chiare lettere nella sentenza n. 1 del 2014, impegnati solo in un temerario gioco di forza volto ad assicurare il governo, in qualsiasi modo e a qualunque condizione, ad uno dei due partiti maggiori (Pd o Forza Italia), i nostri parlamentari potrebbero alla fine trovarsi tutti corresponsabili di una definitiva delegittimazione politica. Nel caso in cui una nuova sentenza del giudice delle leggi dovesse limitarsi a dichiarare costituzionalmente illegittime le nuove norme, in base ai già enunciati principi di necessaria ragionevolezza ed equilibrio tra le ragioni della governabilità e quelle della stabilità; ovvero nel caso in cui dovesse ribadire che senza il sostegno consapevole degli elettori che devono poter scegliere non solo le liste di partito ma anche i propri candidati «si ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione». Speriamo che qualcuno si fermi a riflettere oltre le proprie convenienze immediate e si preoccupi di far valere le ragioni della superiore legalità costituzionale. Prima che sia troppo tardi.
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