Editoriale

Una nuova primavera referendaria

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Diritti Jobs act, welfare, beni comuni. Su questi contenuti apriamo il confronto e costruiamo una mobilitazione unitaria tra "coalizione sociale" e "coalizione politica"

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 26 febbraio 2015

Siamo entrati in una situazione di forte movimento, sociale e politico, che tratteggia un quadro assai diverso, anche solo rispetto ad un anno fa, aprendo una prospettiva di lavoro unitario a sinistra. Intanto la vittoria di Tsipras in Grecia apre in Europa una partita che, per la prima volta dall’emergere della Grande crisi, può mettere in discussione la linea dell’austerità e dell’ossessione del debito che ha da sempre guidato le politiche nell’Unione europea. E in Italia Renzi ha compiuto la mutazione genetica del Pd, partito pigliatutto.

Il renzismo ha ricopiato una leadership dell’uomo solo al comando, forte ma non stabile, e soprattutto consumato un divorzio ormai irreversibile tra il Pd e il “popolo di sinistra”, reso ben visibile dallo sciopero generale da parte della Cgil e della Uil del 12 dicembre e dall’altissimo astensionismo nelle elezioni regionali in Emilia-Romagna.

Per fortuna, in quest’ultimo anno, anche a sinistra c’è fermento, magari in modo un po’ confuso. Si avverte la necessità di rimettere in moto un processo di ridefinizione e ricostruzione di un pensiero e di un’iniziativa alternativa alle politiche neoliberiste del nascente “partito della nazione” e ci si interroga sulla soggettività che potrebbe darle gambe. Pur con limiti e contraddizioni, l’esperienza della lista L’Altra Europa con Tsipras, ha avuto il merito di individuare il campo europeo come terreno della battaglia politica e sociale e prodotto un’attivazione significativa di forze ed energie nei territori. Alla quale partecipano, sia pure in modo differente, anche i soggetti politici che si collocano a sinistra del Pd, Sel e Rifondazione comunista.

Ci si interroga, nel mondo della sinistra sociale, quella che, per intenderci, va dalla Fiom all’associazionismo impegnato e a settori significativi di intellettualità diffusa, su come continuare il contrasto alle politiche economiche, sociali e istituzionali del governo, iniziando a porsi il tema del rapporto con la rappresentanza politica, certamente a partire dalla propria specificità e con ancora troppa timidezza, ma, mi pare, con un approccio per cui ormai questo nodo non può più essere saltato a piè pari.

Continua a vivere un’esperienza importante dei movimenti sociali, da quello impegnato per il diritto all’abitare a quello dell’acqua, dalla coalizione che ha dato vita allo sciopero sociale del 14 ottobre a quella che ha costruito la campagna di opposizione al Ttip, dal movimento per la scuola pubblica ai NoTav, che certamente oggi sembrano complessivamente più collocati su un terreno di resistenza rispetto all’offensiva di attacco ai diritti sociali e ai beni comuni portata avanti con lucidità dal governo, ma che costituiscono tuttora una risorsa di intelligenze ed energie fondamentali per ricostruire una prospettiva di alternativa nel Paese. E tuttavia, non si sfugge all’impressione che tutto ciò non sia ancora sufficiente per dare corso ad un processo riaggregativo che superi la frammentazione dell’iniziativa politica e sociale a sinistra e a farlo con la necessaria discontinuità che i fatti impongono.

Le stesse ultime proposte emerse dall’Assemblea nazionale della lista Tsipras di metà gennaio e da Human Factor di Sel, di dar vita ad un processo e ad una sorta di coordinamento dei vari soggetti che si muovono a sinistra del Pd, e quella lanciata dalla Fiom e da Rodotà di produrre una nuova “coalizione sociale” di contrasto alle attuali scelte di politica economica e sociale, rischiano di muoversi su terreni paralleli e di riprodurre un’antica e negativa contrapposizione tra sfera sociale e sfera politica, proprio quando il tema di fondo oggi, invece, è proprio quello di ragionare della necessaria contaminazione tra esse, nel momento in cui siamo in presenza di una trasformazione nelle società contemporanee del ruolo della politica, per cui alla politicizzazione della società non può che corrispondere la socializzazione della politica.

Del resto, sono i fatti ad indicare che siamo già entrati in questo nuovo scenario, nel quale le aggregazioni sociali giustamente rivendicano la propria autonomia e le soggettività politiche, se vogliono rispondere al tema della crisi della rappresentanza, come ci insegnano le esperienze di Syriza e Podemos, devono riscoprire la questione dell’essere “produttrici di società”.

Allora, conviene ripartire dai contenuti, prima ancora che porsi il problema del contenitore. In primo luogo, la battaglia per un’altra Europa, a partire dal fatto, fondamentale, di far parte di quell’arco di forze che sostiene l’esperienza del governo greco. E, assieme, il contrasto e la prospettazione di un’alternativa alle politiche economiche, sociali ed istituzionali del governo Renzi.

Si può decidere di ripartire da qui, con la convinzione che tutto ciò non può che vivere se non attraverso un’iniziativa diffusa nella società e dando pari dignità a soggetti sociali e politici che si ritrovano in quest’ipotesi di lavoro, una sorta di coalizione sociale e politica in progressiva costruzione. Che potrebbe muovere i suoi passi, per esempio, convocando una manifestazione nazionale (da far poi vivere nei territori) per il lavoro e contro il Jobs act, per il Welfare e i beni comuni, contro i tentativi della loro privatizzazione, per la democrazia e la sua estensione.

Che dovrebbe prendere in considerazione l’idea che, a primavera, si possa lanciare una forte iniziativa referendaria, con caratteristiche innovative anche rispetto a quella del 2011, sia per il suo profilo politico, nel senso che ora occorre investire, in modo selezionato ma chiaro, l’insieme delle scelte di fondo del governo, dal Jobs act alle privatizzazione dei servizi pubblici, dalle pensioni ( riformulando, ovviamente, i quesiti) alla scuola, sia nella promozione dell’iniziativa, da affidare ad un campo di forze sociali e politiche che la condividono, su un piano di pari dignità. Infine, che lanci un lavoro di iniziativa e azione sociale, da far vivere nei territori, che provi a costruire forme di autogestione e mutualismo sociale nel Welfare e nella gestione dei servizi pubblici, in una logica di espansione della democrazia e delle sue forme.

Non mi pare così difficile immaginare e costruire elementi di convergenza tra i vari soggetti sociali e politici che condividono quest’ispirazione, che si muovono in una logica di costruzione di un’alternativa di governo e di sistema, che, soprattutto, ragionino con la priorità di costruire un programma comune di lavoro, andando al di là dal discettare tra coalizione sociale e soggettività politiche, che, in questo contesto, rischia di diventare tema astratto e poco utile.

Sarà un processo complesso e probabilmente non del tutto lineare, ma vale la pena provarci e iniziare perlomeno una riflessione a più voci (magari proprio su queste pagine) sui nostri temi e sull’esigenza, non più rinviabile, di costruire un futuro di riunificazione per le tante sinistre di questo Paese.

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