Internazionale

Ai confini del Vietnam

Nelle retrovie Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli Usa fecero i conti con chi aveva appoggiato i vincitori e chi invece, più o meno obtorto collo, si era schierato col Giappone che aveva fatto del Sudest asiatico la sua area di «co-prosperità» al grido di «L’Asia agli asiatici». Cioè all’imperatore. Durante l’invasione giapponese succede che il Giappone chiede ai nuovi alleati di dichiarare guerra agli Stati Uniti. È il gennaio del 1942 e Bangkok risponde signorsi anche perché allora al governo c’è un militare – Phibun, al secolo Plaek Phibunsongkhram - che ammira Mussolini e dunque se la intende con Hiroito. Ma Seni Pramoj, l’ambasciatore tailandese a Washington – uomo della Resistenza e in seguito premier – decide col suo staff di non consegnare la dichiarazione di guerra e anzi di collaborare col “nemico”. E così, alla fine del conflitto – e quando ormai per gli Usa sta per iniziarne uno nuovo – la Thailandia sfugge a sanzioni e anatemi. La strada è in discesa per una nuova alleanza.

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 17 febbraio 2019
Emanuele GiordanaChantaburi (Thailandia)
Chantaburi è a settanta chilometri dal confine cambogiano dove si sono appena celebrati i 40 anni dalla caduta dei Khmer rossi. Ma è il 1989 forse assai di più del 1979 o del 1975, quando cadde Saigon segnando di fatto la fine della Guerra del Vietnam, la data che ha senso per la Thailandia. In quell’anno – venti anni fa – cadeva infatti il muro di Berlino che doveva segnare la fine dell’Urss e per molti la «fine del comunismo». E se c’era stato un alleato prezioso nella guerra che gli americani avevano combattuto nel Sudest asiatico per evitare l’«effetto...

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