Ai confini del Vietnam
Nelle retrovie Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli Usa fecero i conti con chi aveva appoggiato i vincitori e chi invece, più o meno obtorto collo, si era schierato col Giappone che aveva fatto del Sudest asiatico la sua area di «co-prosperità» al grido di «L’Asia agli asiatici». Cioè all’imperatore. Durante l’invasione giapponese succede che il Giappone chiede ai nuovi alleati di dichiarare guerra agli Stati Uniti. È il gennaio del 1942 e Bangkok risponde signorsi anche perché allora al governo c’è un militare – Phibun, al secolo Plaek Phibunsongkhram - che ammira Mussolini e dunque se la intende con Hiroito. Ma Seni Pramoj, l’ambasciatore tailandese a Washington – uomo della Resistenza e in seguito premier – decide col suo staff di non consegnare la dichiarazione di guerra e anzi di collaborare col “nemico”. E così, alla fine del conflitto – e quando ormai per gli Usa sta per iniziarne uno nuovo – la Thailandia sfugge a sanzioni e anatemi. La strada è in discesa per una nuova alleanza.
Nelle retrovie Alla fine della Seconda guerra mondiale, gli Usa fecero i conti con chi aveva appoggiato i vincitori e chi invece, più o meno obtorto collo, si era schierato col Giappone che aveva fatto del Sudest asiatico la sua area di «co-prosperità» al grido di «L’Asia agli asiatici». Cioè all’imperatore. Durante l’invasione giapponese succede che il Giappone chiede ai nuovi alleati di dichiarare guerra agli Stati Uniti. È il gennaio del 1942 e Bangkok risponde signorsi anche perché allora al governo c’è un militare – Phibun, al secolo Plaek Phibunsongkhram - che ammira Mussolini e dunque se la intende con Hiroito. Ma Seni Pramoj, l’ambasciatore tailandese a Washington – uomo della Resistenza e in seguito premier – decide col suo staff di non consegnare la dichiarazione di guerra e anzi di collaborare col “nemico”. E così, alla fine del conflitto – e quando ormai per gli Usa sta per iniziarne uno nuovo – la Thailandia sfugge a sanzioni e anatemi. La strada è in discesa per una nuova alleanza.