Alias Domenica
Burroughs, via dal virus delle parole e dal giogo dell’identità
Scrittori statunitensi Nelle avventure dei «Ragazzi selvaggi», che impazzano fra Tangeri e Timbuctù, l’autore tardosurrealista e protopunk mette tanto Genet, tanta guerriglia, e un po’ di utopia: riproposto da Adelphi
L'artista Brion Gysin e William Burroughs davanti a una delle «Dreamachines» create da Gysin nel 1970 (fotografia di Charles Gatewood)/ TopFoto)
Scrittori statunitensi Nelle avventure dei «Ragazzi selvaggi», che impazzano fra Tangeri e Timbuctù, l’autore tardosurrealista e protopunk mette tanto Genet, tanta guerriglia, e un po’ di utopia: riproposto da Adelphi
Pubblicato circa un mese faEdizione del 3 novembre 2024
Animato da un inedito terzomondismo visionario, vagamente situazionista, profondamente e misticamente omosessuale, William S. Burroughs cominciò a scrivere I ragazzi selvaggi probabilmente alla fine del 1967, durante un breve soggiorno a Marrakesh. La città marocchina è tra i set principali di questo romanzo che suona narrativamente tradizionale, dopo gli esperimenti col cut-up della precedente Trilogia Nova, benché il montaggio dei capitoli segua ugualmente un filo misterioso, ellittico, a tratti guerrigliero. Forse parla la stessa «lingua comune di geroglifici semplificati» attraverso cui branchi di bellissimi e ferocissimi boys si scambiano «droghe, armi, conoscenze» per mezzo di una rete di portata mondiale....