Cultura
Da Henry Ford al black power, le mille e più anime della Motor City perduta
Scaffale «Detroit» di Giuseppe Berta, per il Mulino. Un «diario di viaggio» in uno dei simboli contraddittori del 900 americano. «I suoi simboli - spiega l'autore - rinviano giocoforza a ciò che la città non è più, all’immagine di una potenza industriale trapassata la cui eco trasmette ancora le proprie vibrazioni»
Un murales di Diego Rivera a Detroit
Scaffale «Detroit» di Giuseppe Berta, per il Mulino. Un «diario di viaggio» in uno dei simboli contraddittori del 900 americano. «I suoi simboli - spiega l'autore - rinviano giocoforza a ciò che la città non è più, all’immagine di una potenza industriale trapassata la cui eco trasmette ancora le proprie vibrazioni»
Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 1 maggio 2020
Non ha conosciuto solo un volto o un’identità, anche se è diventata il simbolo della seconda rivoluzione industriale che al suo cittadino forse più noto ha improntato quel nome di «fordismo» capace di evocare ai quattro angoli del mondo l’idea stessa della catena di montaggio e dell’efficienza delle forme di produzione, e sfruttamento, del capitalismo moderno. Ma Detroit non è stata soltanto la città di Henry Ford, capace di attirare nel corso del primo mezzo secolo del Novecento dagli Stati del sud, lungo l’«hillbilly higway», masse di bianchi in fuga dalla miseria e di afroamericani che scappavano anche dal razzismo....