Del buon uso di Togliatti
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Del buon uso di Togliatti

Dall'archivio Ripubblichiamo l'editoriale di Rossana Rossanda del 13 agosto 1988 in occasione del sessantesimo anniversario della morte di Palmiro Togliatti
Pubblicato 3 mesi faEdizione del 20 agosto 2024

Non potrebbe — e non avrebbe potuto – il partito comunista fare di Togliatti un uso migliore che dosare le parole della presa di distanza? La domanda ritorna, quando come in questi giorni torna fra le mani, riedito da Sellerie, il memoriale di Yalta. Il quale è stato steso proprio il 12 agosto: nel 1964, quando Togliatti, di malavoglia andato nell’Urss invece che nella sua diletta vai d’Aosta, ancora credeva di incontrare Krusciov. Doveva servirgli come traccia di discussione. L’indomani invece è colpito dal malore che lo porterà alla morte nove giorni dopo. A ventiquattro anni di distanza, nell’anno di Gorbaciov e nel ventesimo anniversario dell’invasione di Praga, la rilettura è molto interessante.

Tutto infatti si tiene, anche quel che Togliatti non poteva sapere. Sapeva, anzi fu il solo a intuire, che il Vietnam sarebbe diventato il punto di fuoco della scena internazionale. Non poteva sapere che Krusciov sarebbe stato deposto due mesi dopo, che il breznevismo avrebbe bloccato anche il confuso inizio di qualche maggior libertà e che quattro anni dopo avrebbe mandato i suoi carri armati a Praga. Ma temeva l’involuzione dei paesi dell’est. Negli appunti per Krusciov, Togliatti pone essenzialmente questo problema: se il «mondo socialista» non cambia modo di essere, saranno guai. Guai se si divide proprio mentre il nodo del Vietnam diventa centrale; e guai se l’Urss non si risolve a fare i conti credibilmente col passato e a rivedere la struttura politica nel presente. Non ingannino le formule ancora diplomatizzate.

Il contenuto chiarissimamente colto, e non solo nell’Urss (US, come scrive Togliatti), era che il Pci mandava a dire: a) che sul passato non si poteva continuare a tener ferma al «culto della personalità» la critica a Stalin ) ; b) che sarebbe mortale per il movimento comunista una scissione fra Urss e Cina ( e qui curiosamente si ripete la posizione di Gramsci nel ’26, quando questi, convinto che Stalin abbia più ragione di Trotzki, considera tuttavia nefasta la divisione); c) che va riveduto il modello interno, grosso modo nella direzione che avrebbe preso il nuovo corso, e con un richiamo al momento ancora pluralista del leninismo.

È certo che a determinare Togliatti a questo passo, non facile, era la sfiducia nel gruppo dirigente sovietico; la decisione del Pcus di rompere con Mao doveva essergli apparsa d’una estrema gravita, per poco che lo entusiasmasse il comunismo cinese — una scelta, insomma, imprudente e avventurista. Se il Pci diceva «alla vostra conferenza, messa in questo modo, non verremo» (e non come poi, sbagliando, si sarebbe indotto a fare Berlinguer: veniamo per dire la nostra) la conferenza o non si sarebbe realizzata o avrebbe dovuto proporsi obiettivi molto limitati. Che sarebbe stata, infatti, una riunione di tutti i PC del mondo senza la Cina e senza il solo grande partito d’occidente? una presa d’atto che l’Urss aveva sempre meno peso, all’est e all’ovest. E infatti gli italiani furono lavorati al corpo perché alla conferenza andassero e cedettero sotto il ricatto dell’unità per il Vietnam. Ma Togliatti era stato più acuto dei suoi successori: era proprio la sottovalutazione della questione vietnamita da parte sovietica e degli altri partiti al seguito che lo aveva messo in allarme.

Su questo comincia il memoriale. Egli era assolutamente fautore d’una politica di distensione, ma pensava che potesse essere fatta con successo soltanto da un fronte socialista unito. Invece l’Urss subiva, pochi mesi dopo, una forte umiliazione dal bombardamento americano di Hanoi, primo attacco esplicito a un paese del suo blocco (taciuto dalla Tass per diversi giorni). Subiva e incassava, come pochi anni prima Krusciov aveva con Cuba spinto e poi incassato lo schiaffo di Kennedy. Insomma a Togliatti il gruppo dirigente sovietico pareva disorientato, e per la prima volta aveva deciso di ostacolarne le scelte. Questa caduta di fiducia sul ruolo internazionale dell’Urss è essenziale per capire il memoriale, e in genere il rapporto fra comunisti e Unione sovietica. Già nel 1923 una lettera di Gramsci diceva, grosso modo, «qui le cose non vanno come vorremmo ma la crisi delle rivoluzioni in occidente ci obbliga a tenere almeno questo fronte».

L’Urss, insomma, come fortezza assediata e segno di contraddizione radicale con il sistema imperialista, difensore dei movimenti e dei fratelli di classe ; discutibile difensore, ma da giudicare in un’ottica globale e di lungo termine, sicuramente tesa all’estensione dell’area socialista o antimperialista mondiale. In nome di questo a lungo si separò il dubbio o l’angoscia sul sistema interno dalla «oggettiva» funzione del paese dei soviet, come ancora talvolta lo si chiamava : la discussione tra Sartre e Lefort ne / comunisti e la pace così si spiega, esattamente come l’accecamento dell’occidente sui visibilissimi processi repressivi del 1937 e 1938 in nome dell’unità antifascista e dei fronti popolari. Dopo il 1960 per Togliatti questo schema non regge più. È allora che comincia la sua riflessione sulla storia e sul presente dell’Internazionale e del modello di socialismo.

La questione, più volte rimandata, di quale socialismo, e come, e perché lo stalinismo? si pone esplicitamente in connessione alle urgenze della strategia internazionale. La soluzione che Togliatti avanza in quegli anni, anche nel memoriale, è contradditoria : è la tesi, cauta, iperstoricista, della pluralità dei socialismi. Sono molti e ciascuno ha ragione a casa sua, sembra dire, e si capisce che pensa allo scontro fra Urss e Cina; e tuttavia, quando il suo sguardo si sposta sull’Europa, insiste su qualcosa che riguarda tutti, ed è il problema del rapporto democrazia/socialismo. Sono le ultime note di Togliatti, in linea con la ricerca aperta su Rinascita e il Cc dell’aprile. Né sul Vietnam né sulla questione del socialismo e dei socialismi Longo e Berlinguer, pur pubblicando il memoriale, andranno oltre per molti anni ancora. Quando infatti Krusciòv viene abbattuto, il breznevismo indica un regresso su tutto il fronte.

Sul Vietnam il Pci sta più sulla posizione sovietica che con Le Duan e Giap, che In capo a quattro anni di bilanciamento tra Cina e Urss riescono a respingere gli Stati uniti. E quando si apre la primavera di Praga e si è dato aperto appoggio a Dubcek , e di conseguenza condannata l’invasione, il Pci non fa seguire un’analisi del come e del perché. Sfugge la dimensione del guasto intervenuto nell’Urss, che in Togliatti era chiara, o forse non si sa come affrontarla. Certo il Cc dirà, circoscrivendo, che si tratta di un tragico errore, non d’una conseguenza di scelte già assai pericolose fatte sul terreno internazionale e d’un nodo interno irrisolto. Chi di noi dirà questo, pagherà con la radiazione. Ancora dieci anni dopo, ai primi convegni sull’est, indetti da parte socialista e nostra, il Pci distilla avaramente la sua partecipazione, e in essa le sue parole: cominciano a parlare solo alcuni intellettuali chiamati ad personam.

Così il partito appare sempre impreparato sia alle offensive sul problema dell’est sia alle novità nei paesi dell’ovest, arretra davanti al Psi ed è preso di contropiede da Gorbaciov, che va più in fretta sia nella rivisitazione critica del passato sia sul problema del partito. Soprattutto esita a compiere scelte di grande orientamento quali quelle che delineava Togliatti nel 1964. Eppure se pensiamo a un «memoriale» odierno, non sono in via di mutazione tutti gli scenari? e non si potrebbe porre con forza la questione, come allora sul Vietnam, oggi su un’Europa nella quale l’addio ai blocchi è più che maturo? Maturo per il blocco dell’est, nel quale l’evoluzione interna dell’Urss fa vacillare i sistemi politici, i gruppi dirigenti, probabilmente gli assetti economici, e che sarebbe accelerato da un’Europa capace di fungere da sistema reciproco di sicurezza. E si pone nell’ovest, dove — se Dukakis vince e onorerà le sue cambiali politiche — il rapporto tra Europa e Stati uniti dovrebbe fondamentalmente modificarsi, almeno sul piano militare.

Ma questo è argomento tutto da sviluppare. Oggi semplicemente, riflettendo sulla modernità di quelle paginette di Togliatti rispetto al 1964 e agli anni che sarebbero seguiti, è difficile non dirsi quanto la sinistra sia, relativamente e in assoluto, indietro sull’analisi degli eventi e delle tendenze. NOTA. L’edizione Sellerie, con una presentazione rapida e accurata di Giorgio Frasca Polara, porta anche il facsimile del manoscritto, visibile nell’originale presso l’Istituto Granisci. Non ha un puro interesse filologico: cancellature, correzioni e aggiunte sono spesso significanti. Una minima parte infatti è destinata a rendere più corretto (per esempio «sia… sia» invece di «sia… che» ) il discorso, mentre la maggior parte è orientata a renderlo relativamente più accattivante nella forma. Non so se questo sia dovuto all’antica abitudine di controllare quel che si scriveva (scripta manent…) o alla forma mentis di Togliatti.

Il lettore può divertirsi. Ecco alcuni casi. Nella prima stesura il titolo «A proposito della Conferenza internazionale» che era l’oggetto del contendere diventa un abile «Sul modo migliore di combattere le posizioni cinesi». Più avanti «le accuse dei compagni cinesi», ripensate, diventano «le calunnie dei compagni cinesi». Sempre sulla conferenza, dì primo getto era scritto «solo dopo questa preparazione (…) si sarebbe potuto arrivare a una conferenza» e viene corretto «avrebbe potuto essere esaminata la questione di una conferenza». Più oltre, avete seguito una linea diversa «e le conseguenze non le giudico buone» si attenua invece in un «del tutto buone». Prudenza sulle questioni italiane.

«Sulle prospettive del nostro movimento» diventa, più ottimista, «sullo sviluppo del nostro movimento» ma quel che «ci apre la via alla conquista di una nuova grande influenza» si attenua nel «ci può facilitare la via». Sulle società socialiste poche correzioni, ma bisogna presentare la realtà,e si aggiunge, come se non fosse abbastanza chiaro, «effettiva». Sarebbe utile che si svolgessero dibattiti fra i dirigenti, e si aggiunge «aperti». Gli «errati orientamenti politici» diventano subito «gli errori politici». Un «A noi sono sconosciuti», che si inserisce sullo spazientito discorso: non fate saper nulla delle spinte centrifughe nel blocco, viene invece cancellato e non sostituito.

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