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Il 1968, l’anno della restaurazione

Il 1968, l’anno della restaurazione

Contagiro 2018 Tappa 12

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 18 maggio 2018

Un po’ di pace attendeva oggi il gruppo, sui duecento chilometri e spiccioli tra Osimo e l’autodromo di Imola, con una salitella sul finale buona per infastidire i velocisti più ossidati dai continui su e giù di questi giorni.

Qua nel circuito Enzo e Dino Ferrari i pedali hanno preso il posto dei motori varie volte. La più famosa cinquant’anni fa, per il mondiale del 1968, quando Vittorio Adorni partì novanta chilometri prima degli altri, e aprì un abisso sul traguardo tra sé e i belgi che aveva alle calcagna. Dieci minuti dopo, al momento dell’arrivo dei battuti, la faccia da patrizio romano antico che Vittorio conserva ancora oggi, ai suoi ottant’anni, era già pronta a sorridere sul podio, la maglia iridata ben stirata addosso.

Sembrò l’ennesima conferma di quanto il ciclismo nostro fosse ritornato egemone, dopo l’interregno seguito al tramonto di Bartali e di Coppi.

Proprio in quel mondiale, tra i primi sei arrivati, oltre ad Adorni si ritrovano tutte le speranze italiane di quell’epoca: Dancelli, Bitossi, Taccone, Gimondi. Fu invece l’ultimo bagliore di anarchia, prima che un belga dalla mascella quadrata come Fernandel e dal cuore ballerino arrivasse a mettere le cose apposto. Il 1968 in bicicletta non fu infatti una rivoluzione. Piuttosto un termidoro. L’inizio della dittatura di Eddy Merckx, campione come Bartali a dispetto della volontà dei genitori.

Pound for pound, come si dice per il pugilato, uno dei migliori atleti di tutti i tempi, un club di pochi eletti dove banchettano Pelè e Mohammed Alì. 7 Milano – Sanremo, 5 giri d’Italia e 2 giri di Lombardia, solo per rammentare le corse grandi, e solo per rimanere a casa nostra. Dove Eddy per lo più correva, generosi com’erano gli sponsor italiani in quel periodo di miracolo economico, quando un salumiere brianzolo rendeva possibili le sue vittorie.

Oggi i capigruppo corrono per squadre finanziate da fondi d’investimento degli Emirati Arabi o del Bahrein, e l’organizzazione del Pro Tour ingessa uno sport che non è più riscatto di muratori e garzoni di bottega.

Sarà per l’acquazzone che aspetta i corridori alle porte dell’autodromo, sarà per gli scatti e i controscatti sullo strappo dei Tre Monti di Ulissi, Betancourt e Mohoric, ma la volata sul rettilineo dell’autodromo è roba da reduci. Chi tra di loro ha più benzina è Sam Bennett. Mette l’irlandese nel mirino i tre fuggitivi, li salta e vince addirittura per distacco, voltandosi sulla linea del traguardo a vegliare sull’arrancare dei battuti.

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