La questione democratica, anche in questa vicenda, si innesta come fondamentale punto di disamina e riflessione, come giustamente messo in luce dall’autrice.
Non si tratta di giocare al derby democrazia vs. autoritarismi/populismi, come piace ridurre a gran parte del circuito informativo occidentale; si tratta viceversa di capire come e quanto l’indebolimento della democrazia e della politica rendano la guerra strumento compatibile alla risoluzione delle controversie internazionali.
E’ qui la prima sconfitta della democrazia nella vicenda Israelo- palestinese.
Il solo fatto che si possa accettare, alle nostre latitudini, la vendetta; il solo fatto che la si possa in una qualche misura tollerare, ci dice molto dello stato delle nostre società.
Con frasi di rito, i principali commentatori dei principali quotidiani, gli esponenti politici di mezzo mondo, a partire dal Presidente degli Stati Uniti Biden, invitano il governo Natanyahu a non cedere alla vendetta; tuttavia, non pare che venga esercitata una vera e propria pressione internazionale al fine di fermare quella che è un’operazione militare criminogena, come sottolineato anche dalla Corte Penale Internazionale.
Come scrive Eric Salerno nell’altro commento pubblicato in data odierna dal Manifesto (https://ilmanifesto.it/lalternativa-palestinese-non-salira-mai-sui-carri-armati-di-netanyahu), la dismissione di ogni discorso di pacificazione fra ebrei e palestinesi ha fatto perdere di vista il fatto che non si può pensare di ridurre il tutto a due blocchi “etnici” contrapposti: esistono, sono esistite, esisterebbero persone, da una parte e dell’altra, che credono, hanno creduto, crederebbero alla possibilità di esplorare ancora soluzioni al conflitto.
Quello che invece oggi si prospetta è una nuova Nakba. come raccontato da Michele Giorgio, sempre sulle pagine odierne del nostro quotidiano (https://ilmanifesto.it/per-il-dopo-hamas-lo-spettro-di-una-nuova-nakba).
Quanto sta avvenendo a Gaza è raccapricciante.
E’ raccapricciante sentire la premier del nostro Paese definire “danni collaterali” i bambini uccisi a Gaza: una frase ulteriormente rilevatrice, laddove ce ne fosse ancora bisogno, di una rozzezza di pensiero e di linguaggio che dovrebbero segnalare, una volta in più, l’inadeguatezza dei post missini a ruoli di governo, soprattutto in un contesto internazionale del genere.
Ancora più raccapricciante è constatare come la definizione di “danni collaterali” non è solo inaccettabile da un punto di vista umanitario, ma anche inesatta, a volerla considerare: se bombardi a tappeto scuole, case, ospedali nei tuoi disegni non esistono vittime collaterali, uccisioni involontarie, bensì nemici da abbattere, siano essi combattenti, dirigenti politici, terroristi, donne, bambini, anziani, civili.
E’ avvilente che tutto ciò, sostanzialmente, non si possa dire, anche laddove dovrebbe vigere la democrazia - vedasi la cronaca dagli Stati Uniti di Luca Celada (https://ilmanifesto.it/da-harvard-fino-a-hollywood-cosi-il-conflitto-spacca-gli-usa) od anche alle manifestazioni vietate in Francia.
E’ altrettanto avvilente che in seguito alla squallida caccia all’ebreo da parte di Hamas dello scorso 7 ottobre, si debbano registrare nuovi pogrom (https://ilmanifesto.it/pogrom-in-daghestan-mosca-accusa-kiev), sui quali far avvitare gli ulteriori scenari bellici di questa terza guerra mondiale “a pezzetti”, che il Papa più isolato della storia da anni denuncia inascoltato.
E’ inaccettabile ogni forma di antisemitismo.
E’ inaccettabile la sovrapposizione di ogni critica con l’accusa di antisemitismo.
E’ inaccettabile che una manifestazione di solidarietà al popolo palestinese - quella dello scorso 28 ottobre - venga convocata dicendo in premessa, leggo e riporto dal post di instagram di giovanipalestinesi.it:
“Il 7 ottobre, il popolo palestinese ha ricordato al mondo di esistere, ha dimostrato che sono ancora i popoli a scrivere la storia…”
No, signori miei. La solidarietà non può muovere dalla vendetta. Anche la più nobile delle cause rende ingiustificabile quanto avvenuto il 7 ottobre. Ne possono essere comprese le ragioni, inquadrandone il contesto storico e geografico, certo; ma sono parole sulle quali non posso in alcun modo solidarizzare.
E’ esiziale qualsivoglia appiattimento su posizioni di vendetta, da parte di quante e quanti potrebbero operare per la pace.
E’ avvilente che a sinistra, nelle nostre sfumature esistenti, si cerchi di guardare alla situazione con le nostre lenti: storicamente vicini agli ebrei, per quanto subito con la Shoah; storicamente vicini al popolo palestinesi, per quanto subito dal 1948 in poi.
E’ avvilente semplicemente perché quanto di nostro c’era in quei mondi, dal sogno socialista dei kibbutz alle posizioni filosocialiste di Arafat è stato semplicemente spazzato via da falchi e integralisti.
E qui si ritorna all’ormai antica e insuperata e sovrapponibile triplice crisi:
crisi della sinistra - crisi della politica - crisi della democrazia.
Compagne e compagni, io credo che noialtri per esistere abbiamo il dovere di essere utili sempre e comunque e oggi noi possiamo essere utili se promuoviamo un’enorme mobilitazione per la pace, promuovendo manifestazioni per lo stop alle ostilità di guerra; le dimissioni di Netanyahu. del gabinetto Hamas a Gaza e per la liberazione di Marwan Barghuti, al fine di poter avviare un processo di riorganizzazione dell’ Anp e riavviare il processo di pace che porti alla creazione di una confederazione, se non al sogno dei due stati per due popoli.