Il piccolo grande dramma francese
Rugby La delusione dell'equipe guidato da Fabien Galthié sconfitto per un punto (28-29) dal Sudafrica e fuori dai giochi. Insieme a loro finiscono schiantati gli irlandesi, anche loro grandi favoriti per il titolo, battuti con il punteggio di 28 a 24 da una perfetta Nuova Zelanda
Rugby La delusione dell'equipe guidato da Fabien Galthié sconfitto per un punto (28-29) dal Sudafrica e fuori dai giochi. Insieme a loro finiscono schiantati gli irlandesi, anche loro grandi favoriti per il titolo, battuti con il punteggio di 28 a 24 da una perfetta Nuova Zelanda
Un punto. Un piccolo misero punto che fa la differenza tra la gioia e il dolore e che manda fuori strada la Francia. A vedere la loro squadra affondare di fronte a un Sudafrica più pragmatico, esperto, cinico, c’erano ieri 16 milioni di francesi incollati davanti a uno schermo tv, oltre agli ottantamila dello Stade de France di Parigi. Sedici milioni e mezzo, per la precisione, ricordiamocelo quando ci interroghiamo sul perché l’Italia del rugby non decolla mai. 29 a 28, è finita così, con gli ultimi disperati e confusi attacchi dei bleus e una difesa sudafricana che chiudeva tutte le porte. “A’ pleurer”, da piangere, titola oggi L’Equipe, il più importante quotidiano sportivo del Paese. Si, qualcuno piange e a farlo non sono solo quei giocatori usciti dal campo in lacrime. E’ un piccolo grande dramma perché mai come questa volta la Francia era convinta di essere a un passo dalla conquista della William Webb Ellis Cup, mai si era sentita così forte e in fiducia, con un mondiale disputato in casa e i risultati a darle fin qui ragione. E invece esce nei quarti, il peggior risultato dal 1991. Catastrophe. Antoine Dupont e i suoi compagni sono in buona compagnia. Insieme a loro finiscono schiantati gli irlandesi, anche loro grandi favoriti per il titolo, battuti con il punteggio di 28 a 24 da una Nuova Zelanda perfetta macchina da rugby, persino più perfetta di loro, dei ramarroni verdi che in quest’ultimo biennio avevano dominato la scena mondiale. Sconfitta, l’Irlanda, non solo dal gioco degli All Blacks ma dalle sue paure, dal nervosismo, da quella maledizione che l’ha sempre voluta non oltre i quarti di finale, una malefica scimmia sulla spalla che sabato sera ha scatenato tutto il suo influsso nefasto. E tutto questo ci ricorda quanto calzante fosse quella celebre frase del gallese Carwyn James, l’intellettuale che al gioco con la palla ovale dedicò la sua vita, quando affermava che “il rugby è un gioco della mente”.
AVEVAMO scritto che questo poteva essere il mondiale dell’Emisfero Nord. Contrordine, compagni: tutto sbagliato A raggiungere le semifinali sono tre squadre dell’emisfero australe, la Nuova Zelanda, l’Argentina e il Sudafrica. Sarebbero state quattro se Figi non avesse gettato al vento le sue chances contro gli inglesi, se oltre alla loro gioiosa anarchia, all’azzardo e al casino organizzato, gli isolani del Sud del Pacifico avessero in testa anche alcuni fondamentali: le touches, la protezione dei breakdown, il sostegno. E’ così accaduto che un XV della Rosa sporco, a tratti inguardabile, sia uscito vincente (30 a 24) dalla sfida di domenica pomeriggio a Marsiglia, con i figiani inferociti per l’arbitraggio del francese Mathieu Raynal colpevole di svariate decisioni a loro danno.
E’ DUNQUE la brutta Inghilterra, la nazione meno amata dell’universo ovale, a sopravvivere, unica europea, a questi crudeli quarti di finale. Giocherà sabato sera contro gli Springboks e nessuno le dà la minima possibilità, però intanto è lì, vedi mai, come l’Argentina che con un perfetto secondo tempo ha mandato a casa un Galles che a questo mondiale più di tanto non poteva chiedere.I due big match non hanno deluso le attese. Due sfide furenti, fino all’ultima stilla di energia, ma diverse nella partitura. L’Irlanda ha provato a fare l’Irlanda ma si è inceppata e di fronte si è trovata gli All Blacks al loro meglio: chirurgici, letali. 18 a 17 alla, fine del primo tempo e due mete per parte, terza meta dei tuttineri dopo un quarto d’ora della ripresa. Da lì l’Irlanda non si è più risollevata. A nulla è servita la meta tecnica assegnata dall’arbitro, l’inglese Wayne Barne, a nulla sono valsi 20 minuti con un uomo in più (Aaron Smith e Codie Taylor). C’era una differenza di quattro punti e non c’è stato verso di colmarla. I quattro minuti finali, 37 fasi di attacco consecutive senza avanzare di un metro, un delirio di furore agonistico finora mai visto, ha visto consumarsi le ultime residue energie irlandesi.
Le semifinali di venerdì e sabato prossimi sembrano preludere a una finale Sudafrica-Nuova Zelanda e per ora tutti gli indizi portano lì. Sarebbe la seconda volta dopo quella celebratissima del 1995 che vide il grande ritorno degli Springboks e il capolavoro politico di Nelson Mandela. Quasi trent’anni fa. Una finale inattesa perché tutti si attendevano in campo almeno una squadra europea, ma anche una delle sfide da sempre più affascinanti: un secolo di rivalità rugbistica divide le due nazioni, ognuna delle quali ha conquistato per tre volte la coppa del mondo.
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