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Inghilterra-Sudafrica: il rugby sceglie la sua regina

Inghilterra-Sudafrica: il rugby sceglie la sua reginaIl sudafricano Hondré Pollard

Sport Sabato 2 novembre al Yokohama Stadium (Raidue, 10.00) la finalissima della coppa del mondo di rugby tra le due compagini. Nel 2007 la vittoria andò agli Springboks. Nella finale per il terzo postogli All Blacks dominano il Galles (40-17).

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 2 novembre 2019

Per la seconda volta nella storia della coppa del mondo di rugby Inghilterra e Sudafrica si affrontano in finale. La prima fu dodici anni fa, il 20 ottobre 2007, allo Stade de France di Parigi e gli Springboks conquistarono la loro seconda William Webb Ellis Cup battendo gli inglesi 15-6. Fu un match senza mete e a deciderne le sorti furono la disciplina e i calci piazzati. Nulla di strano, date le caratteristiche delle due squadre in campo e soprattutto del Sudafrica. Già nel 1995, in quella che è considerata la finale più celebre di sempre – Nelson Mandela, François Pienaar, Jonah Lomu, in seguito l’Invictus di Clint Eastwood –, a muovere il punteggio furono i calci di Joel Stransky e Andrew Mehrtens.

Sudafrica-Inghilterra del 2007 fu una lunga partita a scacchi. La serata era piacevole e lo Stade de France una magnifica cornice, tanto bella da farti dimenticare che la struttura sorgeva in un deserto metropolitano, la piana di Saint Denis, privo di vita dopo il calare del sole e lontano quasi un’ora dal centro città. Springboks e XV della Rosa si erano già incrociati nel girone di qualificazione proprio in quello stadio ed era finita 36-0 ma nessuno pensava che la cosa potesse ripetersi. La finale che tutti aspettavano era Francia-Nuova Zelanda, peccato che entrambe le squadre avessero disputato un torneo fallimentare.

L’Inghilterra era campione in carica ma aveva ormai cominciato la sua fase discendente. Come tante altre volte, a cavarla dagli impicci era stato Jonathan Wilkinson, al secolo Jonny (senza la acca), o Wilko, o Jonny il Bello, semplicemente il miglior mediano di apertura che l’Inghilterra abbia mai avuto. Wilkinson placcava, attaccava la linea, apriva il gioco e calciava come un dio. Faceva tutto e lo faceva benissimo. Quattro anni prima il suo drop, allo scadere dei supplementari contro l’Australia, aveva regalato agli inglesi la loro prima e per ora unica coppa del mondo.

Wilko era un giocatore straordinario ma in quell’autunno del 2007 sentiva tutto il peso della luminosa carriera. Ogni tanto gli acciacchi lo costringevano a un riposo forzato e quando marcava visita la sua assenza si faceva sentire, vedi lo 0-36 rimediato dai bokke qualche settimana prima. Inoltre non aveva più al suo fianco Matt Dawson, il fidato scudiero, il mediano di mischia che sapeva preparargli la palla per il drop come nessun altro: mettiti lì e te la passo io al momento giusto. Andy Gommarsall, il sostituto, ne era una pallida controfigura. Ciò nondimeno Wilko si era preso sulle spalle la squadra e l’aveva portata in finale: 12-10 ai Wallabies nei quarti, e tutti e dodici i punti portavano la sua firma; 14-9 alla Francia in semifinale e altri 9 punti di Jonny tra cui un drop.

La strada per la perfezione segue percorsi talora molto contorti. Una volta, durante un’intervista, Wilkinson ha raccontato che prima di un calcio piazzato lui immaginava che ci fosse una bella ragazza seduta sugli spalti, proprio dietro la porta, con in testa una lattina di Coca cola, e lui doveva mandare la palla a colpire la lattina e farla cadere. Sempre? Sì, faceva sempre così.

La finale del 20 ottobre 2007 non fu entusiasmante. Gli inglesi avevano Wilko ma erano troppo indisciplinati. Gli Springboks avevano anche loro un cecchino molto preciso: l’estremo Percy Montgomery, un altro che dalla piazzola non sbagliava mai. E in aggiunta c’era il giovane François Steyn che sapeva centrare i pali anche da 50 e passa metri. A far la differenza furono loro due e i falli, oltre ovviamente al consueto peso del pacchetto di mischia.

Il diabolico Mr. Jones

La finale di domani al Yokohama Stadium sarà una sfida ad alto contenuto tattico. Gli inglesi sono favoriti per ragioni di ranking e per quanto di bello, anzi meraviglioso, hanno fatto vedere nel match con gli All Blacks. Ma la squadra che avranno di fronte non è una formazione che si fa facilmente irretire e le possibilità di sciorinare bel gioco a tutta birra saranno assai ridotte. Sarà una partita ben più ruvida, a tratti sporca, e molto peseranno i piani e le tattiche messe in campo dai due allenatori, Eddie Jones lo Stratega e Rassie Erasmus il Sornione.

Il Sudafrica cercherà ovviamente di impostare la sua partita secondo canoni e tradizione del proprio rugby. Ovvero: conquista e trasmissione della palla da Faf De Klerk ad Handré Pollard, calci a spiovere per bombardare la retroguardia avversaria e carica dei bisonti sui ricevitori. Inoltre: predominio fisico nei punti di incontro, lenta demolizione della trincea inglese, creazione del sovrannumero al largo per mettere in azione le velocissime ali Mapimpi e Kolbe.

Da sempre il Sudafrica gioca così. Da sempre imposta i suoi piani su mediani di apertura specializzati nel gioco al piede: Bennie Osler negli anni Trenta, quando gli Springboks erano imbattibili, poi Naas Botha, Joel Stransky, Jannie de Beer, ora Pollard. Se ne facciano una ragione quei commentatori che hanno definito “noiosa” la semifinale vinta contro il Galles. Questo è il Sudafrica e questo è il suo rugby.

Eddie Jones lo Stratega dovrà dunque escogitare un contropiano e non c’è allenatore al mondo che sappia farlo meglio di lui. Poco importa che la sua Inghilterra sia più bella a vedersi, più veloce e brillante. Dovrà guardarsi dall’indisciplina in cui a volte i suoi giocatori indulgono (Lawes e Sinckler su tutti) e sa che gli Springboks faranno tutto ciò che è lecito (e anche illecito) per rallentare il gioco del XV della Rosa. A scontrarsi saranno le due squadre fisicamente più potenti di questa coppa del mondo ma Jones ha almeno due carte da giocare: l’abilità e la mobilità dei suoi cacciatori (Itoje, Underhill e Curry) e la doppia cabina di regia che fa perno su George Ford e Owen Farrell.

Il pronostico è aperto, la sfida si annuncia combattutissima, il piacere degli occhi garantito – basta non inseguire l’idea che più mete si segnano, più la partita è bella.

Inghilterra: Daly; Watson, Tuilagi, Farrell, May; Ford, Youngs; B. Vunipola, Underhill, Curry; Lawes, Itoje; Sinckler, George, M. Vunipola.

Sudafrica: Le Roux; Kolbe, Am, De Allende, Mapimpi; Pollard, De Klerk; Vermeulen, Du Toit, Kolisi; De Jager, Etzebeth; Malherbe, Mbonambi, Mtawarira.

Finale 3° posto: Nuova Zelanda-Galles 40-17.

Nuova Zelanda: Moody (5’), B. Barrett (13’), B. Smith (32’ e 40’), Crotty (42’), Mo’unga (75’). Richie Mo’unga 10 pt (5 tr).

Galles: Amos (19’), Adams (60’). Patchell 5 pt (1cp+1tr), Biggar 2 pt (1 tr).

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