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La difesa è l’attacco. Il mito anni Settanta del Kaiser Franz

Franz Beckenbauer alza la Coppa del mondo vinta nel 1974 dopo la finale con l’Olanda foto ApFranz Beckenbauer alza la Coppa del mondo vinta nel 1974 dopo la finale con l’Olanda – foto Ap

La leggenda del calcio È morto a 78 anni Beckenbauer, campione della Germania Ovest. Ha inventato un ruolo, uscendo palla al piede dalla sua area

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 9 gennaio 2024

Kaiser è morto, viva il Kaiser! Anche se la famiglia ne ha dato notizia solo ieri, si è spento due giorni fa a Monaco di Baviera Franz Beckenbauer, leggenda del calcio tedesco e mondiale. Uno dei più forti giocatori di tutti tempi, protagonista del calcio degli anni Settanta e di una meravigliosa rivalità con il profeta Johan Cruijff. Tra i pochi calciatori capaci di inventarsi e di interpretare in campo un ruolo esclusivo, ancora in voga ai giorni nostri, quello di libero che parte da dietro, costruisce e imposta, il Kaiser è stato anche uno dei pochissimi difensori a vincere il Pallone d’Oro. L’unico a vincerlo per due volte, nel 1972 e nel 1976. Oltre che uno dei soli tre uomini di calcio a riuscire a vincere un Mondiale sia da giocatore nel 1974 sia da allenatore nel 1990. Sempre con la Germania Ovest, memento di un’epoca che non c’è più e di cui è stato uno grandi protagonisti, ben oltre il rettangolo di gioco.

L’IMMAGINE SIMBOLO del Kaiser Franz è quella della mitica partita dello Stadio Azteca di Città del Messico, semifinale dei Mondiali di calcio maschile del 1970. In campo ci sono l’Italia e la Germania Ovest: da una parte Mazzola, Riva e Rivera, dall’altra Beckenbauer, Maier e Muller. Chi vince affronta con tutta probabilità il temibile Brasile di Pelé, che nell’altra semifinale a Guadalajara affronta l’Uruguay. All’inizio del secondo tempo l’Italia è in vantaggio con gol di Boninsegna, quando per un’entrata scomposta di Cera il capitano tedesco cade e si lussa la spalla destra. Ma non esce, non può uscire. Continua la partita con il braccio fasciato intorno al busto, e guida la Germania Ovest a un clamoroso pareggio all’ultimo minuto. Poi la partita per una serie incredibile di episodi si trasforma in leggenda, con il risultato finale fissato sul 4-3 per l’Italia dopo i tempi supplementari. Ma il Kaiser è pronto a diventare un mito di per sé.

Scriveva qualche anno prima di quella partita Roland Barthes che il mito è come il linguaggio, per restare tale ha bisogno di ripetersi e perpetuarsi. E Beckenbauer che con la Germania Ovest e il Bayern Monaco entra nella leggenda, perché da quella sconfitta comincia ripetersi in una serie incredibile e ineguagliabile di vittorie, da solo entra anche nel mito, proprio perché si trasforma in una parola del linguaggio comune. Negli anni Settanta tedeschi della Raf, del cinema di Herzog e Fassbinder, della musica elettronica dei Kraftwerk e di David Bowie e Iggy Pop che si trasferiscono a Berlino, il calciatore Franz Beckenbauer diventa una parola a sé. La metonimia di un modo unico di giocare a calcio. E dagli anni Settanta l’appellativo Kaiser non ricorda più a nessuno un qualsiasi Federico o Guglielmo della casata degli Hohenzollern, ma si riferisce a un unico e solo calciatore: Franz Beckenbauer.

Franz Beckenbauer e Pele, con la Coppa del mondo nel 2003 Ap
Franz Beckenbauer e Pele, con la Coppa del mondo nel 2003 Ap

GLI ANNI SETTANTA nel calcio sono contrassegnati dalla rivalità tra Germania Ovest e Olanda, tra Bayern Monaco e Ajax di Amsterdam, tra Franz Beckenbauer e Johan Cruijff. E in questa rivalità al cospetto del divino olandese il Kaiser non recita la semplice parte dell’antagonista. Nonostante lui sia un difensore e il rivale un attaccante, ruolo assai più ambito e desiderato, di queste mitologie calcistiche Beckenbauer è attore co-protagonista a tutti gli effetti. Lo è per il numero di trofei vinti, perché in poco più di dieci anni con il Bayern vince tre Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Intercontinentale, quattro campionati e quattro Coppe di Germania. Mentre con la Nazionale tedesca partecipa a due Campionati d’Europa, di cui uno vinto nel 1972, e tre Campionati del Mondo, di cui uno vinto nel 1974 proprio contro l’Olanda del rivale Johan Cruijff.

Ma i numeri e i trofei possono al limite raccontare come il figlio di un dirigente delle poste tedesche, nato sul finire della Guerra e cresciuto a pane e pallone nel quartiere operaio di Giesing, a Monaco di Baviera, sia diventato appunto una leggenda. Ma non riusciranno mai a spiegare come possa essere diventato un mito, capace di perpetuarsi nel racconto eterno del pallone. La svolta arriva proprio ai Mondiali di Messico 1970, quando l’ancor giovane capitano Franz Beckenbauer, che quattro anni prima ai Mondiali del 1966 giocava da centrocampista, cambia ruolo. Segue gli insegnamenti di Lenin e fa un passo avanti e due indietro. Arretra in difesa per avanzare in attacco palla al piede.

IL KAISER FRANZ diventa l’immagine del primo libero che esce dalla difesa con la palla attaccata al piede, a testa alta, per impostare l’azione: dialogare coi centrocampisti o lanciare lungo per le punte. Recupera e riparte, randella e distribuisce, entra in scivolata e sforna assist con il contagiri. Per i più giovani, due calciatori che possono essere paragonati al modo di giocare di Beckenbauer sono Franco Baresi e Carles Puyol. Per gli appassionati di tattica, si può quasi dire che il Kaiser abbia inventato in campo la ripartenza dal basso, prima che la nouvelle vague degli allenatori contemporanei la scrivesse sulla lavagna.

Come allenatore di club non è un granché, né al Bayern Monaco, con cui pure vince un campionato e una Coppa Uefa, né all’Olympique Marsiglia. Ma è una leggenda da commissario tecnico, visto che una volta seduto sulla panchina dell’ultima Germania Ovest prima della riunificazione la guida alla vittoria ai Mondiali di Italia 90, diventando uno dei tre ad avere vinto la Coppa del Mondo da giocatore e da allenatore con il brasiliano Mario Zagallo e il francese Didier Deschamps. Lasciata la panchina si dedica a ruoli politici nel mondo del calcio, all’interno della Fifa e della Federcalcio tedesca, motivo per cui il suo nome entra in diverse inchieste per corruzione. Lasciata la politica del pallone, resta presidente onorario del Bayern Monaco a vita. Vita che termina dopo 78 anni, tre mogli, cinque figli, otto nipoti e un numero incredibile di trofei vinti. Malato da tempo, da anni non si avevano sue notizie. Ma nel linguaggio comune la parola Kaiser non è mai scomparsa. Una volta e per sempre riferita a lui e solo a lui. Il Kaiser Franz.

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