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La legge delle superpotenze

La legge delle superpotenze

Rugby Nuova Zelanda e Sudafrica sono le finaliste della decima edizione della coppa del mondo. Gli Springboks si sono imposti sugli inglesi 16-15 solo nei minuti finali

Pubblicato circa un anno faEdizione del 22 ottobre 2023

Nuova Zelanda e Sudafrica sono le finaliste della decima edizione della coppa del mondo di rugby. Ancora una volta le due superpotenze dell’emisfero Sud hanno imposto la loro legge e il peso della storia. Ieri sera allo Stade de France il Sudafrica ha superato con il punteggio di 16-15 l’Inghilterra dopo essere stato sotto per l’intera partita, fino a tre minuti dalla fine. Un’altra sfida al calor bianco, ancora un finale da cardiopalma. Per settanta minuti l’Inghilterra ha avuto il pieno controllo del match. Il XV della Rosa ha impostato la sua partita con un piano di gioco perfetto: ritmo basso ma difesa aggressiva, presenza agguerrita nei punti di incontro, gestione chirurgica del gioco al piede, touche impeccabile. Insomma, idee chiare e messe in pratica con efficacia. Di là c’era un avversario in chiara difficoltà con la pioggia, impreciso nei calci a spiovere e con il passare dei minuti sempre più nervoso. Il gioco degli Springboks non decollava: i due centri incursori Kriel e De Allende erano assorbiti nella rete difensiva inglese, i frombolieri Willemse e Libbok sbagliavano traiettorie e le due ali Kolbe e Arendse erano come sparite di scena. E poi l’indisciplina, i falli che gli inglesi sfruttavano portandosi subito avanti, 3 a 0, poi 6 a 0. Alla fine del primo tempo il risultato era fermo sul 12 a 6: ogni volta che i sudafricani avevano provato a riavvicinarsi i calci di Owen Farrell avevano ristabilito le distanze. Lo scarto non era di grande entità – sei punti, meno di una meta con trasformazione – ma era chiaro che in questa partita, con la pioggia e il vento, di mete se ne sarebbero viste poche e che il gioco doveva svilupparsi in maniera basica: due, tre passaggi e poi impatto, e lì, nei breakdown, gli inglesi avevano la meglio.

INTANTO, dopo appena mezz’ora, lo staff tecnico sudafricano, aveva tolto dal campo Libbok, il mediano di apertura, mettendo dentro Handré Pollard, più affidabile nei calci piazzati e più a suo agio con le condizioni atmosferiche. Una scelta apparentemente affrettata ma che sarebbe risultata decisiva. Poi, con l’inizio della ripresa, entrava in campo la panchina sudafricana: fuori un impacciato Willemse, fuori Reinach, Vermeulen, il capitano Kolisi e i due piloni Kitshoff e Malherbe, fuori il carismatico Etzebeth. Dentro Le Roux, De Klerk e tutto il pacchetto di avanti, Nche, Koch, il gigantesco Snyman, il cacciatore di palloni Kwagga Smith e il versatile Deon Fourie. La scelta era chiara: tutto il potere al pack e al piede di Pollard, anche perché il gioco alla mano continuava a latitare. Al 53’ l’Inghilterra allungava ancora con un drop di Farrell e portava il suo vantaggio oltre il break: 15-6. Dagli spalti dello Stade de France, pieni di tifosi inglesi giunti a Parigi via Eurotunnel, partivano i cori di “Swing low, sweet chariot”. In tribuna, lo staff del XV della Rosa era tutto un sorriso: alla luce di quanto si era finora visto in campo, quel vantaggio di nove punti sembrava rassicurante.

Dagli spalti dello Stade de France, pieni di tifosi inglesi giunti a Parigi via Eurotunnel, partivano i cori di “Swing low, sweet chariot”. In tribuna, lo staff del XV della Rosa era tutto un sorriso: alla luce di quanto si era finora visto in campo, quel vantaggio di nove punti sembrava rassicurante. 

Poi è accaduto qualcosa. La mischia inglese cominciava a scricchiolare, prima sul lato destro dove Dan Cole veniva sradicato dalla spinta di Ox Nche, poi era tutta la prima linea a collassare. Gli Springboks entravano in modalità “in fiducia” e gli inglesi cominciavano a commettere errori che fino a quel momento non avevano mai commesso. Su un fallo della mischia inglese Pollard andava a piazzare il pallone in touche a cinque metri dalla linea di meta e sulla rimessa vinta Snyman trovava la difesa dei bianchi mal posizionata e andava in meta. Pollard trasformava ed era 15 a 13. Era il 70’, lo scarto era ridotto a due esili punti e il match aveva cambiato corso. Sugli spalti i cori inglesi erano ammutoliti. Altri sette minuti e l’arbitro, il neozelandese O’Keeffe, fischiava un altro fallo contro la mischia del XV della Rosa, poco prima della linea di metà campo. Pollard sistemava l’ovale, prendeva la mira e piazzava un pedatone preciso in mezzo ai pali. 16 a 15. Sorpasso.

FINIVA LI’. Gli inglesi non avevano più le forze e nemmeno le idee e neppure il morale per uscire dalla buca nella quale erano sprofondati quasi senza accorgersene; e i sudafricani chiudevano ogni porta, non concedevano più nulla, nemmeno un fallo. Fischio finale. Ai tifosi inglesi non rimaneva che prendere la strada per la Gare du Nord, niente “sweet chariot” ma degli amarissimi treni per riportarli a casa. Nuova Zelanda e Sudafrica, dunque. O, se preferite, All Blacks e Springboks, i due soprannomi più famosi dell’universo ovale: due nazioni, sei titoli mondiali a testa. Nuova Zelanda-Sudafrica non è soltanto il bis della celebre finale del 1995, quella di Nelson Mandela e di François Pienaar, del libro di John Carlin (Ama il tuo nemico) e del film di Clint Eastwood (Invictus), è anche la storia di un duello infinito e di una rivalità incominciata oltre un secolo fa, nel 1921. Comunque andrà sarà una bellissima finale.

 

 

 

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