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L’animazione «acquatica» di Shigeru Tamura
Maboroshi Quando si parla o si scrive di animazione giapponese, le prime immagini che vengono in mente sono inevitabilmente legate a serie animate o lungometraggi di un certo tipo, quelle che solitamente vengono accomunate al termine «anime».
Un fotogramma da "Ginga no uo (Ursa Minor Blue)"
Maboroshi Quando si parla o si scrive di animazione giapponese, le prime immagini che vengono in mente sono inevitabilmente legate a serie animate o lungometraggi di un certo tipo, quelle che solitamente vengono accomunate al termine «anime».
Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 marzo 2023
Quando si parla o si scrive di animazione giapponese, le prime immagini che vengono in mente sono inevitabilmente legate a serie animate o lungometraggi di un certo tipo, quelle che solitamente vengono accomunate al termine «anime». In realtà e come è naturale che sia, l’animazione non è un genere ma un medium, esistono anche nel Sol Levante moltitudini di stili animati diversissimi fra loro. Dalla stop motion di Tadanari Okamoto e Kihachiro Kawamoto, artisti attivi nel corso del secolo scorso, all’animazione più sperimentale di Koji Yamamura o di Mirai Mizue, fino a quella sognante e fantastica, e forse poco conosciuta,...