L’Italia double face cede di misura alla Francia
Rugby Nell'esordio ai Sei Nazioni gli azzurri vengono sconfitti con uno scarto di soli 5 punti che regala un punto di bonus che potrebbe rivelarsi prezioso ai fini della classifica generale
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Rugby, l’Italia dei giovani “vince” il cucchiaio di legno ma fa ben sperare per il futuroCi sono state importanti conferme: la capacità di sviluppare un gioco d’attacco, una certa solidità mentale. A livello individuale, oltre al solito Capuozzo (sesta meta in otto presenze), una menzione particolare per il giovane Lorenzo Cannone (quarto cap
SI RIPRENDEVA a giocare ed era subito un piazzato di Ramos (14-22) ma sei minuti dopo Carley puniva i francesi con una meta tecnica e un cartellino giallo per Charles Ollivon. Era il 52’ e il punteggio era 21-22, un solo punto di scarto. Altri sei minuti e giungeva il sorpasso con un piazzato di Allan: 24-22. Poteva essere la svolta definitiva ma al 66’ era Matthieu Jalibert a trovare lo spazio tra le maglie azzurre e schiacciare in meta. Ramos trasformava il calcio del 24-29 e a quel punto un’Italia pur coraggiosa e indomita non ha più trovato le energie e la lucidità necessarie per riportarsi avanti. Una sconfitta è sempre una sconfitta ma questa ha un sapore agrodolce e non deve abbattere il gruppo guidato da Kieran Crowley. Di fronte c’era la seconda squadra del ranking mondiale, campione in carica. Ci sono state importanti conferme: la capacità di sviluppare un gioco d’attacco, una certa solidità mentale. A livello individuale, oltre al solito Capuozzo (sesta meta in otto presenze), una menzione particolare per il giovane Lorenzo Cannone (quarto cap) e per la nostra coppia di centri Brex e Morisi, autori di una partita di rara consistenza e grande sacrificio. Domenica nuovo test infuocato: l’Inghilterra, a Twickenham. Per Fabien Galthié, invece, molti dubbi: la sua Francia non è piaciuta, è stata fallosa, poco incisiva e alla fine si è ritrovata sull’orlo del baratro. “Poteva andare peggio” è il commento, lapidario, del capitano Antoine Dupont. E sabato c’è l’Irlanda, a Dublino, una sfida che può valere il titolo.
LA GIORNATA INAUGURALE di sabato ci regala una prima sorpresa. Per il terzo anno consecutivo la Scozia riporta a Edimburgo il più antico trofeo della storia del rugby internazionale, la Calcutta Cup. Accade a Twickenham, the Fortress, la fortezza inglese, che è il cuore pulsante del XV della Rosa, un secolo e passa di storia: la prima pietra dello stadio fu infatti posata nel 1909. Gli scozzesi, che chiamano questa sfida la “caccia al pavone” giusto per rammentarci quanta rivalità li separi dagli inglesi, hanno di che gonfiare d’orgoglio il petto; i padroni di casa avvertono invece tutto il peso di una bruciante sconfitta che cade nell’anno della coppa del mondo. 29-23 il risultato finale, quattro mete a tre. L’ultima volta che questo accadde fu nel triennio 1970-72, ed era la Scozia di Chris Laidlaw, Sandy Carmichael, Ian McLauchlan, Gordon Brown, Jim Telfer: uno squadrone. Scorrendo i tabellini e i referti di quelle partite ritroviamo il nome di David Duckham, che il 9 gennaio scorso ha raggiunto i Campi Elisi del mondo ovale, tradito dal cuore a soli 76 anni. Duckham era un giocatore bellissimo e spavaldo, con una corsa che esaltava le sue virtù atletiche e smuoveva come un’onda la sua lunga chiama bionda. Il giorno del suo esordio in nazionale, a Dublino contro l’Irlanda, segnò una meta con una corsa di 60 yarde, seminando avversari con dei fulminei cambi di direzione, la sua specialità. Rivedendo la meta che Duhan van de Merwe, 60 yarde o forse qualcosa di più, ha messo a segno ieri seminando e travolgendo almeno cinque inglesi, era inevitabile ripensare al biondo e apollineo David Duckham. Inghilterra-Scozia è stato un match indeciso fino alla fine. Entrambe le squadre potevano vincere (ma gli inglesi “dovevano” vincere) e il risultato è stato in bilico fino alla seconda meta giunta a sei minuti dalla fine – ancora Van de Merwe, uno dei tanti sudafricani che in questi anni hanno dato nuova linfa al rugby scozzese. Ma se gli ospiti hanno fatto tutto ciò che di buono ci si poteva aspettare da loro, l’Inghilterra è clamorosamente mancata nei suoi tradizionali punti di forza: la pressione continua, gli attacchi multifase, la capacità di logorare le difese avversarie. Mario Itoje, da anni uno dei giocatori simbolo del potenziale fisico della squadra, è apparso in piena involuzione; Owen Farrel, cui è affidata la co-regia degli attacchi, è stato molto poco o nulla incisivo. E’ stato come se l’Inghilterra giocasse al 60 per cento delle sue possibilità.
LA GIORNATA si era aperta con Galles-Irlanda. Da una parte la squadra di casa alla ricerca dei suoi giorni migliori, dall’altra l’attuale numero uno del ranking mondiale. Dopo 27 minuti l’Irlanda era avanti per 27 a 3. Tre mete a zero (Caelan Doris, James Ryan James Lowe), dominio assoluto, una media di un punto al minuto. Principality Stadium ammutolito, gallesi fallosissimi e sotto botta, in sofferenza in ogni fase di gioco. Di fronte c’era una squadra che recitava a memoria il suo copione, efficiente e micidiale nella gestione del pallone e nelle scelte di gioco. Una macchina perfettamente oliata che non sembra incepparsi mai, programmata per un power rugby che non lascia spazio alla fantasia ma che trasforma in punti ogni opportunità. Nel secondo tempo il Galles ha provato a riportarsi sotto, complice un rallentamento degli uomini in verde. Meta di Liam Williams dopo 5’ della ripresa, poi lo sforzo per riversarsi nella metà campo irlandese e riaprire il risultato. Tanta fatica non ha portato a nulla. Troppi errori, troppa approssimazione: ritmo e intensità richiesti erano semplicemente troppo per la squadra di Warren Gatland che è andata fuori giri. La quarta meta di Josh Van der Flier (72’) ha sigillato il risultato e portato il punto di bonus.
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