Morti bianche in Qatar, la Norvegia boicotta il Mondiale?
Calcio Troppe morti bianche nella costruzione di impianti, aeroporti, hotel a cinque stelle. Oggi la decisione: sarebbe un segnale forte anche per le altre nazionali
Calcio Troppe morti bianche nella costruzione di impianti, aeroporti, hotel a cinque stelle. Oggi la decisione: sarebbe un segnale forte anche per le altre nazionali
Una scelta coraggiosa. E un segnale forte ad altre nazionali che incidono nell’opinione pubblica e sulle istituzioni del calcio mondiale. La federcalcio norvegese deciderà oggi se la nazionale parteciperà o meno ai Mondiali che si terranno in Qatar tra novembre e dicembre del prossimo anno. L’ipotesi del boicottaggio nasce per evidenziare il sonoro silenzio sui diritti umani violati dei migranti al lavoro negli impianti del paese arabo che ospiteranno le partite di Coppa del Mondo.
SECONDO UN RAPPORTO del Guardian pubblicato lo scorso anno, dal 2010 in Qatar sono deceduti oltre 6500 lavoratori stranieri (da India, Pakistan, Sri Lanka, Nepal, Bangladesh), una quarantina mentre lavoravano sui cantieri per i Mondiali. Sfruttati, ore e ore sotto il sole feroce, senza alcun diritto. Una stima in realtà in difetto, le statistiche non hanno tenuto conto dei migranti arrivati da paesi come Filippine e Kenya, così come i decessi avvenuti nell’ultima fetta del 2020 non sono stati conteggiati.
Nel 2019, sempre sulle colonne del Guardian veniva pubblicato un altro rapporto sulle condizioni impossibili cui erano costretti i migranti impiegati sugli stadi per il Mondiale qatariota. L’Emirato si difese spiegando di aver introdotto protezioni per i lavoratori e anche lo sospensione dell’attività nei cantieri tra le 11,30 e le 15, da metà giugno ad agosto. Troppo poco per evitare altri morti bianche durante la costruzione di impianti, aeroporti, hotel a cinque stelle.
CONDIZIONI DI LAVORO disumane, orari infiniti e paghe irrisorie per il Mondiale qatariota voluto ostinatamente dall’allora presidente della Fifa Joseph Blatter, che decise, assieme all’esecutivo della Fifa con vicepresidente e dirigenti poi finiti nei guai per corruzione. Cinque anni dopo lo stesso Blatter fu condannato per corruzione. Dieci anni dopo, nell’indifferenza generale si nascondono ancora storie di famiglie di migranti devastate dal lutto, in lotta per ottenere un risarcimento, spesso senza notizie sulle circostanze che hanno portato al decesso dei lavoratori.
Solo il lavoro di diverse ong ha tenuto un minimo di luce accesa sulle condizioni di lavoro nel paese del Golfo Persico: come l’inglese Fair Square, che in questi giorni ha sostenuto la causa di Malcom Bidali, lavoratore e blogger keniano arrestato in Qatar per aver diffuso informazioni sulle condizioni dei migranti, documentando la sua vita sul portale di un’altra ong, Migrant Workers. L’attivista blogger è stato incolpato di aver preso soldi da «entità straniere», ma la scorsa settimana 47 eurodeputati hanno chiesto all’Emirato di annullare tutte le accuse ai suoi danni. E ora per quei diritti violati, per quelle sanguinose morti sul lavoro potrebbe esserci il boicottaggio della nazionale norvegese (che rischia una multa e l’esclusione da ogni competizione della Fifa): a marzo, seguita da Germania e Olanda, per gare internazionali aveva indossato una maglia con il messaggio «Diritti Umani, dentro e fuori dal campo».
La Norvegia non è una regina del calcio mondiale (tre partecipazioni, l’ultima nel 1998) e muove pochi sponsor, nonostante la presenza dell’attaccante Haaland, grappoli di gol al Borussia Dortmund e l’interesse dei top club europei. Lancerebbe però l’ennesimo grido d’allarme. Che il calcio mondiale, impoverito dalla pandemia, difficilmente accoglierà.
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